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Quale modello fututo per le Forze Armate italiane? PDF Stampa E-mail
Il 2 luglio si riunisce il Consiglio supremo di difesa

Giovanni Martinelli, 25 giugno 2007 da Pagine di Difesa

Il comunicato emesso da Quirinale a conclusione del consiglio supremo di Difesa del 2 aprile scorso terminava con queste parole: “Il consiglio ha infine avviato l’esame delle problematiche relative alle Forze armate. In merito, ha convenuto sulla necessità di definire attentamente il rapporto tra gli impegni operativi assunti e da assumere e le risorse di bilancio a disposizione, mirando a un razionale equilibrio e a una migliore qualità della spesa. L’esame sarà approfondito in occasione della prossima riunione, fissata per il giorno 2 luglio 2007â€.

Tra pochi giorni quindi, si dovrebbe sapere qualcosa di più su quelle che saranno le decisioni in merito alla più volte annunciata revisione del modello a 190mila uomini delle nostre forze armate. In realtà, ricordando le audizioni al Senato di inizio anno nel corso delle quali erano stati sentiti i Capi di stato maggiore, una decisione in tal senso avrebbe dovuto essere già stata presa proprio nel consiglio di aprile, ma poi tutto è stato rimandato, salvo ulteriori sorprese, a luglio.

Ma come si è arrivati a questa situazione? Tutto nasce con la legge 331/2000 che istituiva il servizio militare su base volontaria e professionale, fissava il nuovo livello quantitativo delle forze armate e ne stabiliva la ripartizione tra le varie categorie di personale. Uno degli aspetti salienti di questa riforma era rappresentato dall’intento di completare l’intero processo di trasformazione e soprattutto di massiccio riequilibrio tra le varie categorie con il minimo impatto economico possibile; la sua conclusione era così prevista addirittura nel 2021.

Nel frattempo siamo arrivati al 2007 e se da un parte il livello previsto di 190mila uomini è stato già raggiunto, la situazione in termini di ripartizione di personale è invece a dir poco fallimentare; secondo i dati forniti dalla nota aggiuntiva di questo anno, il numero di ufficiali e di marescialli in eccesso è pari a quasi 43mila uomini, mentre tra i sergenti e i volontari di truppa vi è la situazione diametralmente opposta, con una carenza di oltre 42mila unità.

Ciò dimostra come sia stata la pessima gestione del passaggio al sistema professionale, combinata con i continui tagli alle risorse della Difesa concentratisi sui capitoli di spesa dell’esercizio e dell’investimento, ad aver prodotto l’esplosione dei costi del personale, Se oggi questi assorbono oltre il 60% dell’intero bilancio delle forze armate - dopo aver toccato il 72% nel 2006 – lo si deve solo al fatto che esiste un forte squilibrio tra le varie categorie (con un’eccedenza di quelle che pesano maggiormente da un punto di vista economico), perché si sono sottostimati (scientemente?) i costi della professionalizzazione e perché quando si è tagliato (quasi sempre), lo si è fatto dove non si doveva.

Ma dimostra anche che il modello a 190mila uomini non era e non è affatto insostenibile in quanto tale, ma piuttosto come lo sia diventato nel momento in cui chi aveva l’onere di prendere dei provvedimenti e soprattutto di dare una coerenza finanziaria a tale modello, non ha operato in tal senso.

E così la politica, dopo aver creato il problema, sceglie la strada più comoda, prospettando un nuovo modello a 160mila uomini con un taglio talmente drastico che ben difficilmente esso non potrà non avere conseguenze, anche pesanti, per lo strumento. Il tutto prescindendo da una serie di fattori (situazione internazionale e livello degli impegni in primis) che invece vanno nella direzione opposta.

Eppure la soluzione sarebbe anche relativamente semplice: varare un provvedimento che agevoli, attraverso l’uscita anticipata dalle forze armate e/o l’esodo verso altri settori della pubblica amministrazione, il riequilibrio tra le diverse categorie di personale. Considerando che in passato, e più di una volta, anche grandi gruppi privati hanno potuto ‘pubblicizzare’ le loro perdite ricorrendo a generosi aiuti da parte dello Stato, una tale ipotesi non sembrerebbe così irrealizzabile. A fronte di un indubbio ma temporaneo aggravio di costi, le prospettive sarebbero quelle di un riequilibrio fra le varie componenti di spesa con la conseguente possibilità di liberare risorse a favore dei capitoli di spesa più in sofferenza; combinato con una oramai ineludibile integrazione interforze più spinta per superare sovrapposizioni e sprechi intollerabili, si otterrebbero forze armate più snelle eppure ugualmente capaci.

Ma una volta risolto in qualche modo il nodo delle dimensioni dello strumento, ne rimangono comunque almeno altri tre su tappeto: le risorse finanziarie, le capacità che esso dovrà saper esprimere e la possibilità di esprimerle concretamente.

Per ciò che riguarda il primo punto, occorre sottolineare ancora una volta come gli attuali livelli di spesa non siano assolutamente sufficienti; nonostante la modesta e positiva risalita di quest’anno dopo gli autentici salassi degli ultimi due anni e mezzo, un livello dell’1% nel rapporto tra spese per la Difesa e Pil non può e non deve essere una sorta di punto di arrivo. Per garantire un trattamento, economico ma non solo, dignitoso ai militari, con un percorso formativo adeguato nonché un costante processo di addestramento e aggiornamento, per mettere loro disposizione sistemi, mezzi e equipaggiamenti moderni, occorre investire di più e meglio. Se si pensa che il livello minimo stabilito dalla Nato, ancorché a livello informale, è del 2% sul Pil e che comunque la media in ambito Alleanza atlantica e Ue è di circa l’1,8%, si può ben capire quanto sia ancora ampio il divario che ci separa da molti altri Paesi.

Le capacità operative sono un altro aspetto fondamentale. Anche in questo caso diventa indispensabile capire di quante e quali di esse il nostro strumento dovrà disporre. Le opzioni possono essere diverse, ottenibili attraverso una combinazione di vari elementi quali l’ambito geografico (globale o regionale), il tipo di operazioni (di combattimento e/o di supporto alla pace) e infine il livello di specializzazione funzionale (cioè tipo e proporzione delle forze). La soluzione più logica, e più consona a un Paese come il nostro, dovrebbe essere quella di forze armate concentrate sulle aree di interesse nazionale (senza trascurare eventuali altri scenari importanti ai fini della nostra sicurezza) ma in grado di coprire un’ampia gamma di missioni con un altrettanto adeguato spettro di capacità.

L’esperienza di questi ultimi anni sembra però far propendere per una seconda ipotesi e cioè per uno strumento di fatto concentrato sulle operazioni di Peace support, dalle capacità limitate e con al massimo un nucleo ridotto di forze ‘allo stato dell’arte’. Una scelta anche legittima, per carità; sulla quale però viene spontaneo chiedersi se risponda o meno, e comunque in che misura, agli interessi nazionali del Paese.

Da ultimo, ma non certo per ordine di importanza, occorrerà chiarire una volta per tutte i criteri d’impiego delle nostre forze armate. Perché se è vero che proprio dal consiglio supremo di Difesa sono venute in passato indicazioni che precisano i termini della partecipazione ad eventuali missioni all’estero, ivi comprese l’impiego conflitti armati, (l’Italia può parteciparvi a patto che esse avvengano nell’ambito di una delle organizzazioni internazionali di riferimento per il nostro Paese e cioè Onu, Nato e Ue), è altrettanto vero che se dobbiamo giudicare proprio dalle missioni ancora in corso - prima fra tutte quella in terra afgana, con tutte le sue ambiguità e contraddizioni - sembrerebbe invece che il quadro di riferimento non risulti ancora sufficientemente chiaro e delineato.

Giusto per evitare di trasformarsi in una sorta di ‘fortezza Bastiani’ con militari e sistemi d‘arma - magari anche sofisticati e costosi - in attesa di un nemico che non arriverà mai; laddove ai giorni nostri per costruire la sicurezza si può rendere necessario intervenire anche lontano dalla madre patria.

Alla base di tutto resta comunque la coerenza; la coerenza fra ciò che il Paese vuole dalle proprie forze armate e ciò che è disposto a dare loro. Valga per tutti una battuta del capo di stato maggiore della Difesa in occasione di un recente convegno: “Noi ci muoviamo in coerenza con l’Europa, come ci è stato chiesto di fare. Se ci chiedono di essere coerenti con il Burundi, saremo coerenti con quelloâ€. Coerenza quindi, unita a una giusta dose di cultura della difesa e della sicurezza per considerazioni complessive che, del resto, risultano valide per qualunque modello di difesa si intenda adottare.

A meno che…

A meno che alla fine, licenziare 30mila uomini - più diverse altre migliaia di civili - non si trasformi in un passo talmente difficile, soprattutto per un Governo e un maggioranza così deboli, da portare a un nulla di fatto. Non decidere, però, sarebbe la peggiore delle scelte perché una cosa è certa: in questo modo, senza un quadro di riferimento chiaro e risorse certe su un orizzonte temporale adeguato, le forze armate non possono più andare avanti.

Le droghe sono cari, è per questo che alcuni pazienti non possono comprare le medicine di cui hanno bisogno. Tutti i farmaci di sconto risparmiare denaro, ma a volte le aziende offrono condizioni migliori rispetto ad altri. Circa il venti per cento degli uomini di età compresa tra 40 e 70 non erano in grado di ottenere l'erezione durante il sesso. Ma non è una parte naturale dell'invecchiamento. Questioni come "Comprare kamagra oral jelly 100mg" o "Kamagra Oral Jelly" sono molto popolari per l'anno scorso. Quasi ogni adulto conosce "kamagra 100mg". Le questioni, come "Comprare kamagra 100mg", si riferiscono a tipi diversi di problemi di salute. In genere, avendo disordine ottenere un'erezione può essere difficile. Prima di prendere il Kamagra, informi il medico se si hanno problemi di sanguinamento. Ci auguriamo che le informazioni qui risponde ad alcune delle vostre domande, ma si prega di contattare il medico se si vuole sapere di più. personale professionale sono esperti, e non saranno scioccati da tutto ciò che dici.

 
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