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Riforma delle pensioni: ancora un attacco ai diritti acquisiti dei lavoratori? PDF Stampa E-mail

Da indiscrezioni sembra che il governo abbia predisposto un ulteriore schema di riforma delle pensioni con lo scopo di mantenere sotto controllo la dinamica della spesa previdenziale come richiesto dagli accordi sottoscritti a Bruxelles con l'Unione europea.

Saranno due le leve sulle quali agire: l'età pensionabile e i coefficienti di trasformazione, sulla base dei quali e, tenendo conto delle aspettative di vita, si calcola l'ammontare dell'assegno pensionistico.

Inoltre è previsto un ulteriore risparmio con la fusione degli Enti previdenziali.

Noi di AMID siamo abbastanza preoccupati perché paventiamo che la recente crisi di governo abbia, tra l'altro, azzerato il dibattito in materia con il rischio che l'esecutivo possa facilmente recepire le richieste "interessate" e ribadite a più riprese dai poteri forti rappresentati da banche, assicurazioni, banche centrali e Fondo Monetario Internazionale, tendenti ad imporre una sempre più accentuata riduzione della spesa previdenziale.

Non siamo d’accordo!

Le riforme previdenziali sono già state fatte e a più riprese.

E' necessario aspettare il tempo dovuto per ottenere i benefici previsti dalle riforme.

Inoltre non è possibile realizzare una riforma di tale portata senza prevedere un adeguato periodo transitorio necessario per poter salvaguardare gli interessi di tutti i lavoratori.

Ci dispiace ma non ci convincono le motivazioni allarmistiche come quella della Ragioneria generale dello Stato che stima un'impennata del rapporto tra spesa previdenziale e Pil fino al picco del 15,8 per cento nel 2050 (con un balzo del due per cento rispetto al rapporto attuale).

Ci chiediamo come sia possibile oggi fare delle proiezioni che indicano con sicurezza un incremento del 2% in quasi 43 anni senza tenere conto anche di tutte le possibili variabili quali i fenomeni immigratori, l'ottimizzazione sempre più accentuata della spesa pubblica ecc.

Ci sembra di notare una tendenza politica che punti esclusivamente a considerare gli aspetti negativi della spesa previdenziale senza tener conto dei correttivi messi in atto o da divenire per non parlare dei diritti acquisiti e delle aspettative di vita.

Insomma a noi sembra chiaro che, riducendo sempre di più la spesa previdenziale, si tenti di costringere la gran massa dei lavoratori a rinunciare alla propria buonuscita o tfr per poter accedere ad una pensioni integrativa che consenta di sopravvivere insieme alla pensione primaria decurtata.

I lettori ci scuseranno la battuta cinica, ma a questo punto si può ottenere una maggiore riduzione della spesa previdenziale sopprimendo i lavoratori appena accedono alla pensione ed abolendo per legge la reversibilità per i familiari!!!!!!

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Pensioni, sindacati: ''No a una riforma inaccettabile''

Padova, 26 feb . (Adnkronos/Ign) - Deciso stop dei sindacati al Governo sulle pensioni.

La linea di Cgil, Cisl e Uil non cambia. "Non è che possiamo accettare ora ciò che fino a tre giorni fa consideravamo inaccettabile'', ribadisce infatti il segretario generale della Uil Luigi Angeletti, che spiega: ''Noi non abbiamo il diritto di votare la fiducia la governo, ma non abbiamo nemmeno il dovere di garantirne la stabilità, accettando una riforma delle pensioni che è inaccettabile".

Così il leader della Confederazione di via Lucullo fa notare: ''La nostra vera priorità è discutere, con il governo che verrà, la nostra piattaforma. Abbiamo un documento che secondo noi rappresenta bene i problemi del Paese e dei lavoratori e questo è il documento con il quale andremo al confronto con il nuovo esecutivo". Per Angeletti, in ogni caso ci sono due cose fondamentali: "I salari troppo bassi e pensioni che, se non si possono più definire 'da fame' comunque sono troppo basse". Da parte sua, il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni ribadisce con forza: "Noi siamo estremamente in disaccordo sulla revisione dei coefficienti pensionistici. Lo sa il governo e lo sanno le forze politiche". E sul tema del welfare, il leader del sindacato di via Po ammonisce: ''La gente rimarrebbe davvero delusa se oltre alla crisi dovesse accorgersi di una disattenzione del governo sui problemi salariali e delle pensioni". Perché, ha spiegato Bonanni, "in questi ultimi anni le aziende hanno fatto affari importanti. Gli affari però non li fanno i lavoratori e i pensionati. Vogliamo più salario e una rivalutazione delle pensioni e una politica dei redditi che riesca a reggere bene salari e pensioni".

Rincara la dose il segretario della Fiom-Cgil, Giorgio Cremaschi, per il quale ''se sono vere le indiscrezioni che circolano in queste ore sulla previdenza, cioè che c'è l'aumento dell'età pensionabile e che c'è il taglio dei coefficienti di calcolo, per me questa è una rottura con il movimento sindacale". E rimarca: "Se questa è la linea del governo, chiedo che i sindacati vadano allo sciopero generale sulle pensioni".

Mentre per il governo è il ministro del Lavoro Cesare Damiano a spiegare che ''le proposte di merito si fanno ai tavoli. Le anticipazioni possono essere di segno diverso. Non conosco questi calcoli. Resto fermo ai criteri fissati dal governo che ha detto cose semplici ma chiare nei 12 punti".

Damiano ha quindi spiegato cosa prevedono i punti presentati dal premier Prodi, "ovvero rivedere il sistema previdenziale migliorando le pensioni più basse e intervenire con un'azione per i giovani". Per quanto riguarda lo "scalone", il titolare del dicastero di via Veneto aggiunge: "Preferisco gli scalini".

Inoltre, il ministro ha precisato che "quando si parla di riqualificazione delle pensioni più basse si parla di pensioni in essere, che non hanno niente a che fare con i coefficienti che riguardano chi andrà in pensione nel 2035 con il contributivo puro".

(Adnkronos)


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Ferrero a Damiano, no abbassare i coefficienti ROMA - No all'abbassamento dei coefficienti: lo ha ribadito il ministro della solidarietà sociale Paolo Ferrero che replica così al collega del lavoro, Cesare Damiano. "La mia opinione - ha detto il ministro - è che a regime il sistema contributivo determina pensioni medie molto basse con un tasso di trasformazione al di sotto del 50% dell'ultimo stipendio. Poiché gli stipendi non sono molti alti ed è presumibile che non aumenteranno vertiginosamente nei prossimi anni, la linea del governo è che vanno aumentate quelle più basse. Mi pare perciò che non bisogna abbassare ulteriormente i coefficienti".

"Lo dico - ha aggiunto Ferrero - perché le pensioni basse di oggi sono più alte, come tasso di trasformazione, di quelle che avremo fra 10 anni e quindi tanto più non bisogna mettere in piedi un meccanismo che le abbassi ancora di più, perché - ha concluso - saranno già al di sotto di quelle di oggi". ***********************************************************************

Dopo il 'dodecalogo' di Prodi e le indiscrezioni sulla riforma previdenziale
le prese di posizioni di Cisl, Uil e Fiom: "In disaccordo sui coefficienti"

Pensioni, muro dei sindacati
"No a soluzioni inaccettabili"

Segnali di frenata anche dai ministri Ferrero e Damiano
"Le proposte di merito si fanno ai tavoli di concertazione"


<B>Pensioni, muro dei sindacati<br>" width="200">
ROMA - Mentre il premier Romano Prodi si prepara a ritornare davanti alle Camere da mercoledì, giorno fissato per il discorso al Senato, l'esecutivo dimissionario in attesa di reinsediarsi ha già preparato uno schema di lavoro per chiudere, questa volta al più presto, la partita pensioni. In risposta al 'dodecalogo' di Prodi, che cita ampiamente il riordino del welfare, "con grande attenzione alla compatibilità finanziarie e privilegiando le pensioni più basse e i giovani", si è aperto oggi un vivace dibattito che ha visto intervenire alcuni ministri e i sindacati, che si sono dichiarati indisponibili a riforme che allunghino l'età della pensione e modifichino i coefficienti.

I punti sui quali il governo intende intervenire sarebbero tre: età pensionabile, coefficienti di trasformazione e fusione degli enti previdenziali. "Le proposte di merito si fanno ai tavoli di concertazione, le anticipazioni possono essere di segno diverso, non conosco questi calcoli, fermiamoci ai criteri fissati dal governo che ha detto cose semplici ma chiare nei 12 punti illustrati da Prodi" ha detto il ministro del Lavoro, Cesare Damiano. Mentre il ministro della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero, ha affermato: "Sono d'accordo con i sindacati, serve un intervento per le pensioni più basse".

"Non siamo d'accordo - ha detto il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni - sulla vicenda dei coefficienti. Lo sa il governo e lo sanno le forze politiche". Per Bonanni "le aziende hanno fatto affari importanti ultimamente. Gli affari però non li fanno i lavoratori pensionati. Vogliamo più salario e una rivalutazione delle pensioni e una politica vera che riesca a reggere bene".

Dello stesso tenore da Padova la presa di posizione del segretario della Uil, Luigi Angeletti: "Non è che ora possiamo accettare ciò che prima, fino a tre giorni fa, consideravamo inaccettabile". "Noi - ha aggiunto Angeletti - non abbiamo il diritto a votare la fiducia al governo ma non abbiamo neanche il dovere di garantirne la stabilità accettando una riforma delle pensioni: inaccettabile". Per Angeletti infine la priorità è "di discutere con il governo che verrà la nostra piattaforma".

Per la Cgil al momento è intervenuto al momento solo Giorgio Cremaschi, della Fiom: "Se sono vere le indiscrezioni che circolano in queste ore sulla previdenza, cioè che c'è l'aumento dell'età pensionabile e che c'è il taglio dei coefficienti di calcolo, per me questa è una rottura con il movimento sindacale". E quindi, ha concluso Cremaschi, "Se questa è la linea del governo, chiedo che i sindacati vadano allo sciopero generale sulle pensioni".
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Bonanni, no a revisione coefficienti
Damiano, riguardano chi andra' in pensione a partire dal 2035
(ANSA) - PADOVA, 26 FEB - Un'eventuale proposta di revisione dei coefficienti pensionistici 'non trovera' il sindacato d'accordo': cosi' il leader Cisl, Bonanni. Intanto, il ministro Damiano precisa: 'le pensioni piu' basse in essere non hanno niente a che vedere con i coefficienti di trasformazione'. 'Quando si parla di rivalutazione delle pensioni piu' basse - ha detto ancora Damiano - si parla di quelle in essere. I coefficienti interessano chi andra' in pensione a partire dal 2035 col sistema contributivo'.
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Pensioni, fuori dalla logica di scambio

Betty Leone,  Segretario Generale SPI CGIL

Il piano del Governo insiste sulla riduzione della spesa pubblica e non sulla sua riorganizzazione o stabilizzazione, concetti sui quali il sindacato è disponibile a ragionare. Nessuno dei punti toccati corrisponde alle richieste che Cgil, Cisl e Uil hanno unitariamente concordato e che sono ora in discussione nelle assemblee di lavoratori e pensionati

La crisi di governo di questi giorni si chiuderà, lo speriamo tutti, nelle prossime ore, ma il prezzo pagato sarà pesante perché il segnale mandato dalle 12 condizioni di Prodi per andare avanti è di stampo moderato e, dal punto di vista economico, assai preoccupante perché insiste sul concetto della rapida riduzione della spesa pubblica.

Non riorganizzazione o stabilizzazione della spesa pubblica, concetti sui quali il sindacato è disponibile a ragionare, ma riduzione. Il che significa meno intervento pubblico nel mercato, e quindi più deregolamentazione, e meno spesa sociale, quindi meno welfare. E' scontato che in questo clima si rilanci immediatamente il tema delle pensioni, da tempo percepito come il capitolo più costoso del welfare e quindi da ridimensionare, dimenticando che la popolazione invecchia e perciò sempre di più l'economia dei paesi avanzati dipenderà dalla capacità di spesa degli anziani.

Così i giornali annunciano il piano del Governo sulle pensioni: aumento delle pensioni più basse, aumento dell'età pensionabile, revisione dei coefficienti di calcolo per le pensioni future (cioè ulteriore riduzione della previdenza pubblica per i giovani). Nessuno di questi tre punti risponde alle richieste che Cgil, Cisl e Uil hanno unitariamente concordato e che già sono in discussione nelle assemblee di lavoratori e pensionati. Infatti il sindacato parla di rivalutazione delle pensioni, che hanno perso quasi il 30% del loro potere d'acquisto negli ultimi 15 anni; di uscita flessibile dal mercato del lavoro con incentivi a rimanervi più a lungo; di rafforzamento del meccanismo di calcolo per i redditi pensionistici dei giovani con impieghi precari e discontinui. Su questi principi il sindacato ha firmato un "memorandum" con il Governo, che si è impegnato ad un tavolo di confronto, per concordare le possibili soluzioni ai problemi lì esposti.

L'unico impegno da prendere oggi è perciò quello di iniziare al più presto la trattativa partendo da quel memorandum, ricercando un equilibrio tra le diverse esigenze senza pensare che sia possibile una logica di scambio tipo: innalzamento delle pensioni basse contro innalzamento dell'età pensionabile.
Del resto va ricordato che la legge finanziaria ha previsto un aumento della contribuzione per tutti i lavoratori che porterà nelle casse previdenziali quasi 5 miliardi di euro l'anno. Sarebbe un po' paradossale concludere che i lavoratori devono pagare di più per ottenere meno.
Non voglio pensare che il Governo Prodi, per poter continuare il suo lavoro, che ha prodotto finora molte iniziative buone e innovative, debba pagare un prezzo a Confindustria (privatizzazioni), uno ai mercati internazionali (le pensioni) e uno al Vaticano (i diritti civili). Sarebbe come dire che abbiamo fallito il nostro obiettivo e che anche il centrosinistra può solo aspirare a governare l'esistente, con qualche efficienza in più, ma abbandonando l'aspirazione a trasformare i rapporti sociali ed economici a favore dei ceti più deboli e di una maggiore giustizia sociale.

Chiudo osservando inoltre che un Governo il quale, giustamente, sottolinea sempre come suo obiettivo la costruzione di un futuro per i giovani, non può giustificare le sue scelte affermando, come ci è capitato di sentire, che "in fondo i coefficienti agiranno solo per quelli che andranno in pensione nel 2040".

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Ridimensionato lo scalone che portava
l'età minima a 60 anni. Incentivi per chi resta

In pensione a 58 anni dal 2008
il governo scrive la sua riforma

Assegni familiari, aumenti per le fasce basse, nuovi coefficienti e ammortizzatori


<B>In pensione a 58 anni dal 2008<br>il governo scrive la sua riforma</B>

Guglielmo Epifani

di ROBERTO MANIA da Repubblica

ROMA - È pronto lo schema del governo per la riforma delle pensioni. Il negoziato con i sindacati partirà subito dopo il nuovo voto di fiducia al gabinetto Prodi. E si potrebbe assistere anche ad un'accelerazione: la crisi, infatti, ha rafforzato la linea di chi (il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, in primis) punta a chiudere la partita in tempi rapidi, prima del prossimo appuntamento elettorale di maggio con le amministrative. E, dall'altra parte, sembra aver indebolito l'ala sinistra della maggioranza che anche sulla previdenza si apprestava a adottare una tattica difensiva, alzando veti e barriere.

Ora, però, il baricentro della coalizione si è spostato a vantaggio della componente ulivista, e le pensioni potrebbero rappresentare la prova del nove di questo cambiamento. Marzo sarà decisivo, anche se la dead-line della fine del mese, prevista dal Memorandum firmato a settembre dello scorso anno tra governo e sindacati, è destinata ad essere superata.

Il premier Romano Prodi ha voluto inserire nel suo dodecalogo un punto sufficientemente chiaro sulla previdenza: che andrà riordinata "con grande attenzione alle compatibilità finanziarie e privilegiando le pensioni basse e i giovani". La dinamica della spesa previdenziale, dunque, andrà mantenuta sotto controllo, perché questo impongono anche gli accordi sottoscritti a Bruxelles con l'Unione europea.

Due le leve sulle quali agire: l'età pensionabile e i coefficienti di trasformazione, sulla base dei quali e, tenendo conto delle aspettative di vita, si calcola l'ammontare dell'assegno pensionistico. L'età vuole dire soprattutto lo "scalone", introdotto con la riforma Tremonti-Maroni, che dal primo gennaio del 2008 porta l'età minima per l'accesso alla pensione di anzianità da 57 anni a 60, e che - aspetto centrale - garantirà 150 miliardi di risparmi dal 2008 al 2025.

Al posto dello "scalone" - seguendo l'impianto del governo - arriveranno gli "scalini". Dal 2008 l'età potrebbe essere fissata a 58 anni (con 35 di contributi versati) e poi salire gradualmente, accompagnata da un meccanismo di incentivi. La soglia a 57 anni più 35 di contributi dovrebbe restare per chi è occupato in un lavoro usurante o faticoso. Dopo la crisi, e le modalità con cui se ne dovrebbe uscire, si sono ridotti i poteri di veto di chi (da Rifondazione ai sindacati) chiedeva l'abolizione tout court dello scalone.

Di certo saranno aggiornati i coefficienti di trasformazione perché senza questa operazione (doveva essere fatta già nel 2005 dal governo Berlusconi che però scelse di soprassedere) la Ragioneria generale dello Stato stima un'impennata del rapporto tra spesa previdenziale e Pil fino al picco del 15,8 per cento nel 2050 (con un balzo del due per cento rispetto al rapporto attuale). Nel governo sembra prevalere la linea del ministro del Lavoro, Cesare Damiano, che propone di escludere dal ritocco dei coefficienti i lavoratori più giovani che hanno una carriera discontinua e, dunque, un ammontare di versamenti troppo basso, tale da non garantire una pensione dignitosa (rischierebbero di ricevere un assegno tra i 400 e i 500 euro mensili). Proprio per questa tipologia di lavoratori si sta ragionando di introdurre i cosiddetti contributi figurativi a carico dello Stato, come già accade per le lavoratrici in maternità.

Prodi vuole innalzare le pensioni basse (quelle legate al versamento di contributi diverse dalle minime che hanno natura assistenziale) che attualmente non superano i 400 euro al mese. I pensionati interessanti sono tra il milione e mezzo e i due milioni. Le risorse dovrebbero arrivare dal progetto di fusione degli enti previdenziali. I tecnici di Palazzo Chigi hanno stimato che dalla nascita del cosiddetto SuperInps (Inps, Inpdap, Enpals, Ipsema e Ipost) si potrebbero ricavare non meno di due miliardi di euro l'anno, escludendo in un primo tempo di coinvolgere nell'accorpamento anche l'Inail.

In vista dell'avvio del confronto con i sindacati, e prima dello scoppio della crisi, Padoa-Schioppa e Damiano avevano anche concordato di gettare subito sul tavolo del welfare il tema degli ammortizzatori sociali. Per rendere più fluido il negoziato e far capire fin dall'inizio il progetto complessivo di riforma. L'ampiezza dell'azione dipenderà molto dalle risorse a disposizione. Ma il buon andamento delle entrate fiscali, il recupero di quelle contributive, e la lotta ai privilegi previdenziali, potrebbero favorire i primi passi per disegnare i nuovi ammortizzatori. L'idea è di introdurre un'indennità di disoccupazione per tutti coloro che perdono il lavoro, fissandola a circa il 60 per cento dell'ultima retribuzione, ma vincolandola alla disponibilità del soggetto a seguire corsi per la sua riqualificazione professionale. Sarebbe la prima tappa per passare ad una concezione attiva dello stato sociale, quello che gli anglosassoni chiamano il welfare to work.

(26 febbraio 2007)
 
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