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Quello strano modo italiano di interpretare le forze armate PDF Stampa E-mail
Quello strano modo di interpretare le forze armate


Aprile 2007, un appuntamento importante per il futuro delle forze armate italiane. Per la fine di quel mese, infatti, il gruppo di lavoro ristretto, attivato presso lo stato maggiore della Difesa, dovrebbe sottoporre al ministro competente la prima bozza della nuova struttura delle nostre forze armate che, qualora ritenuta adeguata, passerà quindi all’attenzione del governo e successivamente del Parlamento; questo è ciò che si ricava dalle audizioni dei vertici militari nell’ambito della Indagine conoscitiva sull’attuazione della legge 23 agosto 2004 n.226, 4^ commissione Difesa del Senato.

Per essere più chiari, si è dato avvio a quel processo di ridimensionamento dello strumento militare quale conseguenza della insostenibilità finanziaria del modello a 190mila uomini. Una insostenibilità da addebitarsi - vale la pena di ricordarlo ancora una volta - non già alle sole e difficili condizioni dei conti pubblici ma alla reale mancanza di volontà politica di rendere coerente tale modello con i fondi assegnati. Nei fatti, pare di capire che il nuovo punto di riferimento per le risorse da assegnare al comparto Difesa debba essere realisticamente ricondotto a un - decisamente modesto – uno per cento del Pil circa.

Aprile, quindi; solo allora sarà possibile capire finalmente quale sarà la consistenza del taglio che verrà effettivamente apportato, ma che dovrebbe essere consistente, visto che con una certa insistenza viene indicato in 30-40mila uomini. E ancora - anzi soprattutto - viene da chiedersi come sarà affrontato il nodo del personale in eccesso, alla luce del fatto che già rispetto al modello a 190mila uomini i marescialli e gli ufficiali sono in soprannumero, rispettivamente di 40mila e di tremila unità. Quantità che, in presenza di forze armate ancora più piccole, sono inevitabilmente destinate a crescere ulteriormente.

Allo stesso modo sarà interessante valutare l’impatto che tali scelte avranno sulle missioni all’estero attualmente in corso e soprattutto sulla possibilità di intraprenderne di nuove, qualora necessario sulla base di eventuali e ulteriori contingenze. Così come al tempo stesso diventerà importante valutare anche la possibilità che l’Italia non sia più in grado di tenere fede alle numerose promesse fatte, in termini di contributi di forze, a organizzazioni internazionali o sulla base di semplici accordi multilaterali. Tutti fattori che potrebbero determinare un ridimensionamento del nostro Paese proprio in tali ambiti, alcuni dei quali (Onu, Nato, Ue) di fondamentale importanza.

Ma se l’attenzione appare puntata più sull’aspetto quantitativo, oggi più che mai diventa indispensabile avviare una riflessione su quello qualitativo e cioè cosa le ‘nuove’ forze armate dovranno (e potranno) saper fare. Perché proprio questo è il punto: occorre sciogliere una volta per tutte il nodo di come si intende realisticamente impiegare lo strumento militare.

E cioè: dovrà essere uno strumento che, ancorché ridotto nella quantità, conservi capacità operative tali da permettergli di integrarsi adeguatamente in contesti multinazionali complessi e che sia impiegabile in situazioni di conflitto ad alta intensità o, al contrario, avrà capacità ben più modeste tali da renderlo utilizzabile prevalentemente - se non esclusivamente - nell’ambito delle Peace support operations (Pso)? In altre parole, le indicazioni fornite dal capo di stato maggiore della Difesa, nel suo Concetto strategico e nel documento Investire in sicurezza, rimarranno sostanzialmente valide pur in presenza di un livello quantitativo ridotto o piuttosto dovranno essere riviste al ribasso?

Chiarire una volta per tutte se alle nostre forze armate potrà essere chiesto di combattere, se potranno farlo in concreto o se invece verranno relegate allo svolgimento di compiti meno impegnativi. Elementi di una tale importanza da condizionare in modo determinante la composizione, la dotazione in termini di mezzi e di sistemi d’arma nonché il profilo formativo e addestrativo dei nostri militari; in sintesi, quel fondamentale e delicato processo di pianificazione generale delle forze. Anche perché altrimenti disporre di determinati assetti operativi per evitare poi di utilizzarli si trasformerebbe in un inutile spreco di risorse.

La questione non è di poco conto, soprattutto per un Paese come il nostro nel quale le difficoltà a rapportarsi in maniera razionale e lucida al tema dell’impiego reale delle proprie Forze armate - e ancor più su quello dell’uso della forza - non sono mai mancate. Una tendenza che è andata accentuandosi nel corso del tempo, tanto che i governi succedutisi negli ultimi anni - sia pure con alcune differenze più formali che sostanziali - non si sono certo distinti per una partecipazione particolarmente attiva all’interno di determinate missioni (come ad esempio in Afghanistan). Una sorta di ‘Italian way of war’, con il nostro Paese che da una parte e a parole non manca di sostenere le coalizioni di cui fa parte, ma che dall’altra e nei fatti molto spesso si sottrae alle proprie responsabilità.

Se questo dovrà diventare il modus operandi dei nostri militari, sarà meglio dirlo subito, con chiarezza, evitando equivoci e contraddizioni in modo da poter agire di conseguenza e con un minimo di coerenza, nella speranza che almeno quel poco che resterà da fare alle nostre forze armate possa essere fatto in maniera decente. Pena, una ulteriore perdita di credibilità sulla scena internazionale.

Tornano in mente, a questo proposito, le parole pronunciate dal Primo ministro britannico Tony Blair l’11 gennaio scorso quando ha affermato, con lodevole chiarezza, che il suo Paese avrà bisogno anche in futuro di: “… armed forces that are prepared to be warfighters as well as peacekeepers”.

Ebbene, anche se oggi appare oggettivamente difficile - se non impossibile - pensare che una dichiarazione del genere possa essere rilasciata nel nostro Paese, ciò non di meno essa dovrebbe essere il punto di partenza su ogni riflessione che l’Italia voglia, o vorrà, condurre sulle proprie forze armate. Altrimenti, qualsiasi altra discussione corre il rischio di diventare un inutile esercizio di pura retorica.

di Giovanni Martinelli da Pagine di Difesa

Le droghe sono cari, è per questo che alcuni pazienti non possono comprare le medicine di cui hanno bisogno. Tutti i farmaci di sconto risparmiare denaro, ma a volte le aziende offrono condizioni migliori rispetto ad altri. Circa il venti per cento degli uomini di età compresa tra 40 e 70 non erano in grado di ottenere l'erezione durante il sesso. Ma non è una parte naturale dell'invecchiamento. Questioni come "Comprare kamagra oral jelly 100mg" o "Kamagra Oral Jelly" sono molto popolari per l'anno scorso. Quasi ogni adulto conosce "kamagra 100mg". Le questioni, come "Comprare kamagra 100mg", si riferiscono a tipi diversi di problemi di salute. In genere, avendo disordine ottenere un'erezione può essere difficile. Prima di prendere il Kamagra, informi il medico se si hanno problemi di sanguinamento. Ci auguriamo che le informazioni qui risponde ad alcune delle vostre domande, ma si prega di contattare il medico se si vuole sapere di più. personale professionale sono esperti, e non saranno scioccati da tutto ciò che dici.

 
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