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Giuro di essere fedele alla Unione Europea ... PDF Stampa E-mail

Giuro di essere fedele alla Unione Europea…


di Saverio Zuccotti da Pagine di Difesa


Forse ha ragione Gianni De Michelis, già ministro degli Esteri ai tempi della Prima repubblica, quando nel numero 6/2006 di Limes scrive che l'Europa per progredire ha bisogno di un obiettivo concreto. E cita, nel suo intervento intitolato "Dalla Russia la sfida che può rilanciare l'Europa", le tre anime attorno alle quali si è costruito o si è tentato di costruire l'integrazione politica ed economica del Vecchio Continente: Ceca, Cee ed Euratom. Se il carbone e l'acciaio sono stati lo stimolo che ha consentito all'Europa di tracciare un progetto luminoso nel buio del dopoguerra, la creazione di un mercato unico e di una moneta unica sono stati i temi trainanti degli ultimi decenni.

Muovendo dal tema energetico - peraltro oggetto di fondo del numero di Limes in parola - De Michelis descrive Euratom come una grande occasione perduta, la cui attualità sarebbe stata prepotenemente rilanciata dai recenti problemi di approvvigionamento di gas dalla Russia. Non solo, un Euratom 2 - è l'opinione dell'ex ministro - permetterebbe di far fronte a un problema strategico, ma consentirebbe anche di riavviare il processo di integrazione, zavorrato e rallentato dai recenti allargamenti della Ue. Il ragionamento è ineccepibile, ma quello che non ci trova d'accordo è la citazione fugace riservata alla vera incompiuta d'Europa (la Ced, Comunità europea di difesa) e la rinuncia totale e dichiarata a riprenderla in considerazione.

Eppure l'integrazione militare del Vecchio Continente dovrebbe essere la prossima e naturale tappa di un processo storico ormai consolidato. Gli Stati membri hanno ceduto da un lustro la prerogativa di battere moneta, rinunciando cioè a una sovranità che i cittadini toccavano con mano quotidianamente, pagando in lire o in fiorini quando compravano il giornale o facevano la spesa. Per non parlare della funzione di volano che le valute nazionali talvolta avevano: la regola dei periodi difficili era svalutare per dare competitività alla economia.

Oggi l'ambito militare riguarda invece circa un cittadino ogni 300, che spesso ha abbracciato il mestiere delle armi per libera scelta e come professione. A livello di opinione pubblica in Occidente la guerra è ormai un gene recessivo e gli stessi governi optano per l'uso diretto delle forze armate in situazioni eccezionali e comunque nel quadro di iniziative multinazionali. Nonostante la sovranità militare moderna appaia quindi molto più sacrificabile di quella monetaria, si assiste al paradosso per cui viviamo con l'euro nelle tasche ma continuiamo a mantenere in vita strumenti militari costosi, complessi, ridondanti e allo stesso tempo insufficienti.

Non è questa la sede per entrare nei dettagli, ma sarebbe interessante trovare una tabella che ci ricordasse - ad esempio - quanti reggimenti di paracadutisti sono mantenuti oggi in Europa in nome della sovranità nazionale. Oppure sarebbe bello capire come fa la Us Navy a dominare tutti i mari del pianeta con una sola classe di navi per tipo quando in Europa le classi di fregate e caccia si contano a decine, ciascuna su pochi esemplari. Viviamo in un mondo dove tutti si fondono per fare sinergia (cioè standardizzare ed evitare doppioni), eppure quando si parla di militari questa elementare regola sembra non valere. Proviamo a indagarne le possibili cause.

Sono ormai più di quindici anni che ci si spertica alla ricerca di una ragion d'essere dell'Alleanza Atlantica, quasi che ipotizzarne l'esaurimento costituisse delitto di lesa maestà e di oltraggio al suo glorioso passato. La guerra al terrorismo ne ha decretato forse la fine con le ben più flessibili coalizioni di volenterosi: sul piano politico, l'Alleanza è diventata un semplice bacino di consenso cui gli Stati Uniti possono attingere con la ragionevole sicurezza di trovare supporto. L'unica effervescenza che la Nato registra sono i movimenti a est, secondo le strategie statunitensi per estenderne i confini fino al Caucaso.

Che dietro ci siano spicciole ragioni militari (insediamento di installazioni militari) o articolati disegni geopolitici (controllo delle pipeline di idrocarburi), la conseguenza per l'Europa è di lasciare che i rapporti con il suo ingombrante vicino russo siano pesantemente influenzati da chi se ne sta al di là dall'Atlantico. L'aspetto più preoccupante è che queste ‘influenze’ appaiono agli occhi di Mosca come aggressioni ai propri naturali bastioni, ingerenze nella storica sfera di influenza e provocazioni sempre più inaccettabili per il rinato orgoglio nazionale.

Sotto il profilo militare, la Nato continua a essere un formidabile strumento di integrazione e una garanzia di interoperabilità. Ma se quello deve essere il suo ruolo, la si trasformi allora in ente mondiale certificatore, così da addestrare e validare gli eserciti che seguono determinate procedure.

Il dubbio è che gran parte delle debolezze d'Europa dipendano da una clamorosa lacuna: nonostante l'elevatissimo grado di integrazione economica, non esiste oggi in seno all'Unione europea alcuna clausola che imponga la mutua assistenza militare tra gli Stati membri. A quanto pare non è ritenuta necessaria: quella clausola c'era ed era il pilastro del Trattato di Bruxelles, ma con l'estinzione della Ueo i mentori d'Europa hanno deciso che non valeva la pena perpetuarla nei trattati della Ue.

A questo già provvede la Nato, hanno giustificato. Insomma, la mancanza di un dispositivo vincolante come l'articolo 5 del Trattato dell'Atlantico del Nord spiega la minore attrattiva e credibilità della Ue rispetto agli automatismi sanciti a Washington nel 1949. Il primo passo (a basso costo) verso una concreta integrazione militare europee dovrebbe quindi essere l'inclusione di una clausola di difesa collettiva tra gli Stati membri della Unione. Dopo tutto, si è mai vista una unione qualsiasi - una famiglia, un sodalizio, una nazione - che non si basa sul mutuo sostegno?

Un approccio alternativo più radicale sarebbe la creazione di forze armate europee tout court, obbligando quindi la classe politica a vincere gli atavici tentennamenti per gestire un dispositivo militare unitario. Fermo restando che rimane confinata nel mondo della più sfrenata fantasia, una simile proposta nasconderebbe almeno tre ordini di difficoltà.

In primo luogo, si dovrebbe individuare una base giuridica sulla quale impegnare gli effettivi delle forze armate europee. In altre parole, su cosa farli giurare? Urge una Costituzione o comunque una dichiarazione solenne che possa permettere di andare oltre - senza ovviamente contraddirlo – il precedente giuramento che i militari hanno prestato per i loro Paesi. Solo dietro l'impegno di servire la più alta causa di 500 milioni di europei e non l'interesse particolare di un singolo paese, potrebbe essere avviata la pianificazione dello strumento militare e il successivo passaggio delle truppe sotto il controllo Ue.

Già, ma quale controllo? Se per la moneta unica è stato sufficiente un organo tecnico come la Banca centrale di Francoforte, per le forze armate europee sarebbe richiesta un'autorità politica con il potere di deliberarne l'uso. Se si vuole che il futuribile strumento militare europeo sia al servizio della collettività dei cittadini e non dei governi nazionali, si potrebbe pensare di istituire una seconda Camera del parlamento - una sorta di Senato europeo, piccolo ma slegato dalle nazioni e dalla geografia politica - incaricato di elaborare Pesc e Pesd e di controllare le forze armate.

L'ultimo problema riguarda la presenza degli arsenali nucleari di Francia e Regno Unito, che certo non è pensabile di assorbire placidamente nelle strutture integrate. Una possibile via d'uscita dall'impasse potrebbe essere la possibilità per gli Stati membri di reclutare e mantenere truppe sotto il controllo nazionale, ovviamente a proprie spese e in aggiunta agli obblighi assunti con l'Unione militare europea. Va da sé che tali assetti nazionali non potrebbero in alcun caso essere utilizzati con il veto del Senato europeo.

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