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Uranio Impoverito: proposta d’indagine parlamentare dell'On. Barani al Ministro Livia Turco PDF Stampa E-mail

Proposta d’indagine parlamentare dell'On. Barani al Ministro Livia Turco

 

Proposta dell’On. LUCIO BARANI al Ministro della Salute, Sen. Livia Turco, in occasione dell’audizione del Ministro presso la XII Commissione Permanente (Affari Sociali).

 

OGGETTO: le morti mimetiche, proposta di una seria indagine da parte della Commissione Permanente Affari Sociali della Camera dei Deputati

 

I FATTI

 

Come si legge in una efficace sintesi della parlamentare On. Tana De Zulueta, membro della commissione d’inchiesta sui pericoli dell’ Uranio impoverito:

Dal 1993 l'esercito USA conosce l’effetto dell’Uranio Impoverito sui militari chiamandolo 'sindrome del Golfo' e fornisce ai propri uomini impiegati in teatri di guerra informazioni su questo materiale e, soprattutto, equipaggiamenti di protezione tra cui tute e maschere.

Nel 1999 i militari italiani in Kosovo si rendono conto degli equipaggiamenti dei soldati USA, ma ad essi non fu detto nulla riguardo ai pericoli che correvano e non venne fornita loro alcuna protezione. Cresce il problema, anche perché cominciano ad ammalarsi, soprattutto di tumori di Hodgkins, neoplasie e leucemie, militari italiani reduci dai Balcani. All’ aprile 2005, secondo il maresciallo Domenico Leggiero, dell'Osservatorio militare, sono 34 i reduci morti per questi tumori e si contano 276 malati.

Nel 1999 esce anche un rapporto, redatto su incarico della Commissione Europea e intitolato "Valutazione dell'impatto ambientale delle attività militari nel corso del conflitto in Jugoslavia". In questo rapporto già si poneva il problema degli "effetti a lungo termine di sostanze tossico cancerogene e di radiazioni". Dal rapporto emerge inoltre la vasta presenza di metalli pesanti entrati nel ciclo biologico e nel terreno. I militari italiani impegnati in Kosovo ricevono una vaga nota informativa che mette in guardia dai pericoli relativi all'uranio impoverito soltanto nel novembre dello stesso anno.

 

2000: la commissione Mandelli

 

Nel 2000 viene incaricata di indagare sulla possibile correlazione tra uranio impoverito e le malattie dei militari italiani una commissione di esperti presieduta dal Prof. Mandelli, un ematologo. I tre rapporti, dell'aprile e del maggio 2001 e del giugno 2002, pur essendo statisticamente falsati dall'inclusione nell'indagine di militari presenti nei Balcani anche per poche ore, oppure senza aver sentito pienamente la testimonianza di tutti, come è stato denunciato anche da alti gradi che allora operarono in Kosovo come “bonificatori” di esplosivi, riconoscono un numero anomalo di linfomi di Hodgkins tra i militari italiani che hanno operato nei Balcani.

 

2001: Il rapporto dell'UNEP sul Kosovo

 

Nell'ottobre 2001 viene pubblicato anche un rapporto dell'UNEP, l'agenzia di protezione ambientale dell'ONU, che segnala la presenza di uranio impoverito e di metalli pesanti in Serbia ed in Kosovo e sottolinea la loro pericolosità. Gli esperti dell'UNEP pongono inoltre l'attenzione sulle particelle a bassa radioattività rilasciate dalla combustione, per impatto cinetico, di uranio impoverito che possono causare danni a lungo termine.

La possibile presenza di uranio impoverito riguarda anche la missione dei militari impegnati in "operazioni di combattimento", secondo i vertici CENTCOM, in regioni afghane di frontiera con il Pakistan dove sarebbero ancora attive unità militari talebane e di Al Qaeda.

 

Le guerre del Golfo ed i pericoli per i civili: il rapporto UNEP del 2003

 

Il gruppo di lavoro sull'uranio impoverito della Royal Society stima che 640 tonnellate di uranio impoverito siano state usate nel 1991 in Iraq; per l'ultimo conflitto (2003) non ci sono cifre, ma la quantità di proiettili e bombe utilizzate dovrebbe essere molto più alta. l'UNEP presentò un rapporto in cui si chiedeva alle forze occupanti di ripulire rapidamente gli “hot spots”, o luoghi particolarmente inquinati. "Un'altra attività prioritaria dovrebbe essere condurre una verifica scientifica dei siti colpiti da armi contenenti uranio impoverito", prosegue il rapporto, che raccomanda che "siano immediatamente distribuite linee guida al personale militare e civile, ed alla popolazione civile, su come minimizzare il rischio di esposizione accidentale al DU". Il rapporto sottolinea infine la necessità di uno studio in Iraq basato sulle "coordinate precise dei siti attaccati" fornite dall'esercito USA.

 

La Risoluzione del Parlamento europeo del 2003

 

Il 13 febbraio 2003 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione in cui si afferma: - "la NATO non ha messo al bando le armi all'uranio; - sono necessari sforzi credibili per far sì che l'uso di queste armi non violi il I Protocollo addizionale alla Convenzione sulle Armi convenzionali; - il diritto internazionale al momento non prevede il pagamento di danni per gli eventuali effetti dannosi causati da queste armi; - cittadini dell'UE impiegati come membri civili o militari di operazioni di peacekeeping o peace enforcement potrebbero essere stati, e potrebbero ancora diventare, vittime di queste armi durante missioni umanitarie civili e militari e potenzialmente in future missioni ESDP." Nella Risoluzione il Parlamento europeo chiede ai paesi membri "di implementare immediatamente una moratoria sull'utilizzo in futuro di uranio impoverito (e di altre armi all'uranio) in attesa della pubblicazione di uno studio esaustivo sulle disposizioni del diritto internazionale umanitario". Questa risoluzione non è stata ancora recepita dai paesi membri dell'UE.

 

2002-2006:la Commissione parlamentare d'inchiesta

 

Nel febbraio 2002 i parlamentari dell’Ulivo presentano un disegno di legge per la istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta sui casi di morte e gravi malattie che hanno colpito il personale militare italiano impiegato nelle missioni internazionali di pace nella ex Jugoslavia, sulle condizioni della conservazione e sull’eventuale utilizzo di uranio impoverito nelle esercitazioni militari sul territorio nazionale. Nel novembre 2004 viene formata la Commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito, ma comincia i suoi lavori solo nel febbraio 2005, dopo che i partiti della maggioranza hanno impiegato ben mesi a designare i loro rappresentanti.

L'11 maggio 2005 si è tenuta un'audizione del ministro della Difesa, Antonio Martino.

In breve il Ministro ha affermato: ''i fatti, le ricerche scientifiche, le indagini statistiche, non hanno dimostrato l' esistenza di un nesso di causalità tra l' utilizzo di munizionamento contenente uranio impoverito, peraltro mai usato dalle forze armate italiane, e le patologie riscontrate nei militari''.

''I nostri militari impegnati all' estero - ha poi rilevato Martino - non corrono nessun pericolo riguardo all' uranio impoverito: non lo usano loro e neanche i militari di altri Paesi che collaborano con loro''.

Ad aprile 2006, in piena campagna elettorale, il Ministero della Difesa diffonde le cifre relative ai malati ed ai morti per la “sindrome dei Balcani”: 158 reduci dai Balcani hanno contratto un tumore e 28 soldati sono morti. Fino ad ora il Ministero si era sempre rifiutato di rilasciare questi dati perfino alla Commissione d'inchiesta parlamentare.

 

Il primo marzo 2006 viene pubblicata la relazione finale della Commissione. Per la commissione d'inchiesta è stato il “degrado ambientale”, e non l'uranio impoverito, la principale causa delle malattie dei reduci dai Balcani. Le uniche note positive del rapporto finale consistono nella proposta di garantire maggiore assistenza alle vittime ed ai loro familiari e nell'ammissione che, se volatilizzato, l'uranio impoverito può risultare patogeno.

Troppo poco e ancora troppo vago.

 

21 aprile 2005: riconosciuto il danno biologico per la morte del maresciallo Melone

 

Il 21 aprile 2005 la Corte d'Appello di Roma d'Appello rigetta la sospensiva, opposta dall'Avvocatura del Ministero della Difesa, all'ordine di pagamento dei danni alla famiglia del maresciallo Stefano Melone, morto nel 2001 di neoplasia maligna dopo varie missioni all'estero, tra cui in Kosovo. La giustizia riconosce quindi per la prima volta il danno biologico arrecato ad un militare italiano in servizio.

Il 27 aprile l'Avvocatura di Stato riconosce il danno biologico anche al maresciallo Marco Diana.

Queste decisioni serviranno a rincuorare i tanti militari che si sono visti abbandonare dall'Esercito che avevano servito dopo la scoperta della loro malattia.

 

Le truppe italiane in Iraq senza protezioni

 

Il primo giugno 2005 l'UNAC (Unione Nazionale Arma dei Carabinieri) denuncia come i carabinieri di stanza a Nassiriya non siano minimamente informati sui rischi che corrono in un territorio pesantamente bombardato due volte con il DU. Alle truppe italiane non è stata data neppure alcuna protezione. Negli stessi giorni, ad Amman, tecnici ONU spiegano a militari iracheni come proteggersi dall’uranio impoverito e come bonificare i terreni.

 

Anche la Lega ha fatto la sua parte: ad appiccare il fuoco della polemica, è stato il deputato del Carroccio Edouard Ballaman, con un'interrogazione al ministro della Difesa Antonio Martino firmata anche dai leghisti Federico Bricolo e Cesare Rizzi.

L'accusa è di quelle pesanti: «Già otto militari della missione di pace “Enduring Freedom” in Afghanistan, sono stati rimpatriati e inviati presso il reparto oncologico dell'ospedale di Siena con i sintomi registrati per i militari reduci dal Kosovo e imputabili agli effetti dell'esplosione di proiettili all'uranio impoverito». Affermazioni che riportano a galla l'annosa querelle sugli effetti dell'uranio impoverito su civili e militari, combattuta da anni a colpi di studi scientifici, commissioni ad hoc e richieste di risarcimenti. Ballaman chiede a Martino di far sapere «quanti militari impiegati nelle missioni di pace in Afghanistan e in Iraq sono rientrati per ragioni di salute e quanti di questi sono curati per patologie di tipo oncologico». Il deputato richiede inoltre che siano rese note le misure di sicurezza adottate dai nostri militari schierati nei due paesi alla luce dell'esperienza dei reduci dei Balcani. L'uomo del Carroccio non si ferma qui, e auspica una verifica sul posto sui reali effetti dell'uranio impoverito tramite l'invio di specialisti. Ma il pezzo forte dell'interrogazione arriva nelle ultime righe dove, in un crescendo di accuse e ipotesi di reato, si chiede al ministro Martino di comunicare «quali sono le iniziative che il ministero intende adottare affinché da un'accusa di omicidio colposo», prevedibile in caso di una singola morte, «non si configuri - visto il numero dei decessi - un'ipotesi di strage».

 

Forte è oggi il timore che i 300 militari con neoplasie e leucemie non trovino risposte adeguate e che in realtà il numero sarà destinato inevitabilmente ad aumentare nel tempo.

 

Il senatore Luigi Malabarba, uno dei membri della commissione d'inchiesta, ha così commentato il lavoro fin qui svolto: "La Commissione si è trovata di fronte a difficoltà nel reperire e valutare i dati a disposizione del Ministero della Difesa. C'è da ritenere che siano state fatte delle statistiche poco attendibili su campioni e su realtà assolutamente disomogenee tra loro, quindi non comparabili. Ma probabilmente non è stato fatto neppure un lavoro di ricerca epidemiologica sufficientemente accurato per cui non sappiamo neppure se il Ministero disponga di effettivi dati. Allora, o ne dispone e non sono stati forniti alla Commissione come richiesto, o non ne dispone. In entrambi i casi c'è una responsabilità di una certa gravità che incombe sul Ministero della Difesa".

Sull'origine delle neoplasie e leucemie riscontrate Malabarba afferma: "Ritengo che l'uranio impoverito sia uno dei "killer" da tenere sotto osservazione. Ma vanno anche, probabilmente, valutate altre concause che possono essere quelle relative all'inquinamento dei territori prodotto dai bombardamenti che hanno colpito non solo edifici ma fabbriche chimiche e che hanno disperso sul territorio degli agenti tossici coinvolgendo la popolazione civile e anche i contingenti militari.

L'ex on. Falco Accame - oggi presidente dell'Ana-Vafaf, associazione che tutela le famiglie dei militari malati causa gli effetti dell'uranio impoverito - ha elencato nei giorni scorsi responsabilità, ritardi e omissioni, come quelle del ministro della Difesa Martino che negò l'utilizzo dell'uranio nei bombardamenti sulla ex Jugoslavia, malgrado la NATO avesse ammesso di averne sparato 11.000 proiettili. Ben 44 militari italiani reduci dai Balcani sono morti e 300 ammalati, con aumento esponenziale di tumori e leucemie per tutti i civili della ex Jugoslavia.

Ma secondo le verifiche compiute dalla Commissione, «non sono emersi elementi che consentano di affermare» che le patologie in questione siano da attribuire agli effetti derivanti dall'esposizione alle radiazioni o alla contaminazione dovuta al munizionamento all'uranio impoverito. La Commissione però sottolinea che ogni forma tumorale ha quasi sempre «un'eziologia multicausale» ed è in questo contesto che vengono prese in considerazione quelle situazioni di degrado ambientale ed inquinamento «che possono aver giocato un ruolo particolarmente importante nel primo periodo di operatività dei contingenti, quando più alta era la concentrazione di inquinanti derivanti da manufatti industriali o civili danneggiati o distrutti dalle operazioni belliche».

Il senatore Luigi Malabarba, uno dei membri della commissione d'inchiesta, ha così commentato il lavoro fin qui svolto: "La Commissione si è trovata di fronte a difficoltà nel reperire e valutare i dati a disposizione del Ministero della Difesa. C'è da ritenere che siano state fatte delle statistiche poco attendibili su campioni e su realtà assolutamente disomogenee tra loro, quindi non comparabili. Ma probabilmente non è stato fatto neppure un lavoro di ricerca epidemiologica sufficientemente accurato per cui non sappiamo neppure se il Ministero disponga di effettivi dati. Allora, o ne dispone e non sono stati forniti alla Commissione come richiesto, o non ne dispone. In entrambi i casi c'è una responsabilità di una certa gravità che incombe sul Ministero della Difesa".

Il senatore Malabarba osserva che, grazie ai lavori della Commissione, probabilmente "si incomincerà a riconoscere la causa di servizio ai militari che hanno avuto delle patologie in missione, qualunque fosse la causa che ha prodotto la malattia durante o a ritorno dalla missione. I primi militari che si sono ammalati ci hanno testimoniato direttamente di non essere stati informati sull'uranio impoverito. Questo è già quindi un fatto molto grave". Sull'origine delle neoplasie e leucemie riscontrate Malabarba afferma: "Ritengo che l'uranio impoverito sia uno dei "killer" da tenere sotto osservazione. Ma vanno anche, probabilmente, valutate altre concause che possono essere quelle relative all'inquinamento dei territori prodotto dai bombardamenti che hanno colpito non solo edifici ma fabbriche chimiche e che hanno disperso sul territorio degli agenti tossici coinvolgendo la popolazione civile e anche i contingenti militari presenti nei Balcani. Quindi è probabile che vi siano più elementi che concorrono a creare queste patologie".

 

In questi anni ci sono state le indagini della commissione scientifica di nomina ministeriale e della commissione parlamentare d'inchiesta e le ricerche scientifiche indipendenti che hanno evidenziato il legame fra uranio impoverito e linfomi; sullo sfondo omertà, depistaggi, lobby da proteggere, superficialità e pesanti responsabilità dei vertici militari e di parte della classe politica che non ha esitato a mandare allo sbaraglio giovani soldati.

 

MISSIONE LIBANO

 

Oggi un altro contingente di soldati italiani è stato inviato in Libano meridionale per una missione ONU.

Personalmente ho una grandissima stima per i nostri militari, che rappresentano agli occhi del mondo un significativo esempio di “Made in Italy” apprezzato per intelligenza, professionalità e capacità di relazione con le popolazioni da loro protette.

Questo patrimonio nazionale va indubbiamente sostenuto, potenziato e salvaguardato da rischi inutili.

Ancora una volta il nostro esercito entra in un teatro in cui si è svolta una cruenta guerra e, tutto sommato, noi non sappiamo ancora “cosa” è stato sparato, quali sostanze sono state immesse nell’ambiente biologico, quali siano le reali condizioni socio-sanitarie dell’area di operazioni e quali possono essere le conseguenze per i nostri soldati.

Al di là dell’obbiettivo della missione, che sia vago o politicamente ambiguo, ma questo è un altro discorso che riguarda l’ambiguità stessa della politica italiana come fatto rilevare da autorevoli esperti in materia mediorientale, il Parlamento deve affrontare e rispondere a tante domande in materia sanitaria che la Commissione d’Inchiesta non ha saputo pienamente o voluto rispondere.

 

Sono quindi a proporre di riprendere seriamente, in questa legislatura tutti i temi che non sono stati risolti:

 

1) Una completa informazione su tutte le situazioni, cause e concause, di rischio sanitario che devono essere affrontate nelle missioni all’estero, superando con un metodo nuovo le ambiguità e le carenza che sono state rilevate alla “Commissione Mandelli”.

 

2) Una adeguata preparazione e dotazione per i nostri militari, affinché siano in condizione di prevenire e affrontare efficacemente rischi fisici, biologici e epidemiologici. Esperienza necessaria anche perché ci troviamo ad affrontare una emergenza terrorismo in cui si ipotizza pure l’utilizzo di nuove armi chimiche, batteriologice e radioattive.

 

3) Una diversa assistenza alla famiglie e ai militari ammalati nell’espletamento del servizio per il loro Paese.

 

Sarebbe opportuno che questa Commissione Permanente cominciasse a individuare l’iter giusto e opportuno per dare risposte certe in tempi utili, evitando lungaggini, incertezze e ambiguità che sono avvenute nella passata esperienza della Commissione d’inchiesta, anche con indagini e visite nelle sedi estere in cui sono stanziati i nostri militari.

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