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Il 2 giugno festa della Repubblica: polemiche e considerazioni. PDF Stampa E-mail

Il 2 giugno festa della Repubblica: polemiche e considerazioni.

Il 2 giugno l'Italia ha festeggiato il 60° della Repubblica con una sfilata di uomini e mezzi delle Forze Armate e dei corpi civili dello Stato impegnati nella difesa della collettività. L'occasione ha dato spunto ad alcune polemiche (non si sa fino a quanto reali o strumentali) che hanno messo in discussione la necessità di festeggiare l'anniversario della Repubblica con una parata militare.

A nostro avviso la parata militare dovrebbe essere vista come una delle espressioni di festa della Repubblica perché i militari sfilano in onore delle Istituzioni e di tutti i cittadini, in rappresentanza dell'unità nazionale e del sentimento di appartenenza alla patria.

Tutto qui e nient'altro. Chi vuole trovare altri significati è libero di farlo a titolo personale ma non può addossare ad altri il suo pensiero magari per misera strumentalizzazione politica.

Ci sarebbe poi da aggiungere che le forze armate, e i quindi i militari, sono spesso strumento di una politica estera, che a torto o a ragione, è dettata dal governo e dalla maggioranza parlamentare in carica, quindi dalla maggioranza dei cittadini che lo hanno eletto. I militari obbediscono senza discutere perché è il loro mestiere e non gli può imputare le ragioni delle scelte in politica estera che competono esclusivamente al governo.

Infine, come ben sanno gli addetti al settore, nelle forze armate purtroppo non esistono associazioni di tutela a carattere professionale che possano riportare le opinioni ed i convincimenti collettivi del personale militare. Queste associazioni, se esistessero, di certo non metterebbero in discussione in alcun modo le scelte del governo, ma potrebbero far sentire la voce dei militari così come avviene nei paesi più avanzati d'Europa.

Allora forse chi tanto critica le forze armate si accorgerebbe che in fondo anche i militari sono dei cittadini come tutti gli altri a cui sta a cuore la pace e la democrazia.

Ci piace concludere questa riflessione riportando un articolo del presidente dell'Osservatorio sulla Legalità e sui Diritti tratto dall'omonimo sito: www.osservatoriosullalegalita.org.

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Anche il nostro Osservatorio sostiene la pace e il dialogo, ed è consapevole che le guerre sono l'occasione - fra l'altro - per incredibili violazioni dei diritti umani, ma credo sia ingenuo pensare che l'abolizione delle armi e degli eserciti elimini la violenza. Finché ci sarà l'uomo ci sarà violenza. Un uomo che voglia prevaricare un altro userà le mani e i piedi, una vanga, un ramo nodoso, una pietra o un cuscino sulla faccia per ottenere quello che vuole.

Il massacro del Ruanda (800.000 persone) avvenne prevalentemente con il machete, che però non era un'arma, ma uno strumento usato per il lavoro dei campi, come la falce. E la comunità internazionale non intervenne, ma certo non sarebbe potuta intervenire a mani nude, ne' alla parte di popolazione accecata dall'odio sarebbe importato molto di eventuali sanzioni, il cui effetto peraltro si sarebbe visto troppo tardi, visto che la tragedia si consumò in pochi giorni.

La stessa Lidia Menapace era partigiana. I partigiani non erano missionari che predicavano la nonviolenza, altrimenti oggi non sentiremmo parlare di partigiani vivi. Essi organizzavano azioni di guerriglia, cui riconosciamo il crisma etico della difesa contro l'oppressore e l'invasore, ma sempre di armi e azioni violente si trattava. Le armi sono quindi necessarie a proteggere dalle offese coloro che ne sono vittime.

L'arma può portare la pace e l'ordine, basta che sia usata con correttezza, in base alle diverse norme e principi. I codici nazionali ed internazionali prevedono la legittima difesa e anche se la Costituzione ripudia la guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti, non vieta l'uso delle armi o l'esistenza di forze armate. Poiché la Costituzione chiede di essere preservata, è necessario prevedere infatti la possibilità di difenderla rispetto ad un Hitler che proprio non voglia saperne della nonviolenza.

Occorrono quindi regole (e ci sono, sia a livello nazionale che internazionale) ed il rispetto delle stesse che passa attraverso due vie, quelle della cultura e quella del voto. Con la prima educhiamo alla soluzione pacifica dei conflitti a qualsiasi livello, con la seconda scegliamo governanti rispettosi delle regole e non corruttibili, quindi non sensibili alle sirene dei produttori di armi che vogliono allargare il loro giro d'affari promuovendo sempre nuovi conflitti.

Il problema è che invece molti elettori votano persone che spesso hanno violato le regole e promesso collusioni ancor prima di giungere sullo scranno, e le votano in base ad una appartenenza ideologica, a soggezione culturale o a fama del candidato, ad amicizie e clientelismi, etc, ma non certo in base a criteri di capacità e correttezza, quindi difficile poi aspettarsi comportamenti corretti.

Quindi non sono favorevole alla distruzione delle armi pesanti e leggere, ma alla loro non-proliferazione e non distribuzione indiscriminata. E non vedo niente di male in una parata militare ove quelle truppe siano viste come protezione per lo Stato dagli attacchi, come difesa dei deboli e delle organizzazioni umanitarie che portano aiuti alle popolazioni nelle zone di conflitto.

Tutto sta a fare poi scelte politiche e attuare comportamenti in linea con questi principi di difesa e non di offesa, che sono poi le uniche azioni legali.

___________

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