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Convegno del 23/02/01 PDF Stampa E-mail
Un saluto di benvenuto alle autorità e a tutti coloro che sono intervenuti venendo da lontano. Sono il presidente dell’A.Mi.D., Associazione per i Militari Democratici nata non più due mesi fa per volontà di alcuni cittadini decisi a scendere in campo per stimolare e contribuire al dibattito politico – culturale del nostro Paese.Insieme ad UN’ARMA, FICIESSE e SILP CGIL, abbiamo inteso promuovere un coordinamento delle associazioni che, con il sostegno ammirevole della CGIL, si propone di favorire le condizioni affinché, anche in Italia, sia garantito il diritto di autotutela del personale militare e l’ispirazione democratica delle istituzioni.La relazione che mi accingo ad esporvi verterà, per l’appunto, sulle necessità di realizzare strumenti di controllo democratico all’interno della riforma delle Forze Armate italiane.Dopo un lungo periodo di immobilismo, negli anni recenti, le Forze Armate sono state interessate da una serie di riforme legislative che ne hanno completamente trasformata la fisionomia ordinamentale e funzionale. Le riforme realizzate hanno risposto in gran parte alla forte domanda di adeguamento delle istituzioni dello Stato per meglio rispondere alle nuove esigenze di una società moderna e complessa come la nostra. La necessità di ottimizzare le poche risorse disponibili, cercando di coniugarle con la migliore efficacia possibile, è stato un esercizio difficile che, tra l’altro, spesso non assicura la riuscita delle riforme finalizzate a migliorare e qualificare le istituzioni interessate.Al di la degli errori d’impostazione, molti dei quali era possibile evitarli con una maggiore attenzione agli interessi generali, il punto debole delle riforme realizzate sta nell’aver posto in secondo piano gli interessi e la partecipazione del personale direttamente coinvolto nella loro attuazione.Questa, purtroppo, è stata l’inevitabile conseguenza per aver dovuto attuare le riforme tramite delega governativa che, fondamentalmente, ha privilegiato l’impronta di vertice delle amministrazioni interessate trascurando, gioco forza, gli interessi più complessivi in gioco.Al riguardo avremmo preferito una maggiore partecipazione del Parlamento, cui compete il ruolo di indirizzo e di garanzia istituzionale, ma siamo consapevoli che, stante l’attuale situazione politica italiana, quello attuato era l’unico sistema per realizzare le riforme.Del resto oggi è molto importante anche la capacità di adottare per tempo i provvedimenti che devono rispondere a pieno alle mutevoli esigenze della comunità internazionale. Pertanto ben vengano la riforma dei vertici, la progressiva professionalizzazione delle Forze Armate (consentendone l’accesso anche delle donne), la realizzazione del Nuovo Modello di Difesa e la recente riorganizzazione delle Forze di Polizia con, tra l’altro, la trasformazione dell’Arma dei Carabinieri in 4^ Forza Armata.Adesso però è venuto il momento di completare l’opera ultimando la serie delle riforme degli apparati dello Stato attuando quei provvedimenti che debbono compensare gli equilibri democratici alterati.Il bilanciamento dei poteri forti è una necessità di ogni Paese democratico cui devono ispirarsi lo spirito e l’ordinamento di tutte le istituzioni dello Stato ed in particolare di quelle che operano per la sicurezza interna ed esterna della nazione.A tal proposito, per le Forze Armate, la nostra Costituzione aveva previsto la partecipazione obbligatoria dei coscritti di leva garantendo, in tal modo, una sorta di controllo democratico della società civile sulle istituzioni militari. Già oggi questo non è più possibile per l’estrema contrazione del contingente di leva che comunque, prossimamente, sarà destinato a scomparire completamente.Inoltre, come anticipato in premessa, è necessario recuperare la partecipazione motivata del personale militare in servizio permanente destinato a convivere ed attuare le riforme. Infatti, su di loro grava la gran parte del peso della trasformazione in quanto, spesso oltre ad essere destinatari di trasferimenti imprevisti, le loro condizioni di lavoro sono state rese difficili perché costretti a sopperire alla scomparsa ed alla trasformazione dell’ordinamento delle Forze Armate consolidatosi negli anni.Riteniamo estremamente importante recuperare la fiducia e le motivazioni del personale militare perché soltanto la condivisione delle progettualità può assicurare la loro completa riuscita. Del resto ormai la fase dell’emergenza è superata ed è necessario qualificare al meglio la finalità delle riforme attuate rendendole completamente aderenti agli scopi prefissi; questo deve essere il compito della politica che deve riappropriarsi del proprio ruolo di indirizzo atto a recepire le istanze e gli interessi più complessivi. In tale ambito la partecipazione democratica dei cittadini e degli operatori del settore è, a nostro avviso, indispensabile pertanto bisognerà consentire e favorire il loro coinvolgimento, in particolare, attraverso la discussione ed il confronto tra le associazioni che operano nel settore. Tanto per sgombrare il campo dalle dubbie interpretazioni, è bene precisare che, a nostro giudizio, il soggetto più idoneo, capace di coniugare le esigenze di partecipazione democratica e di difesa degli interessi dei militari, rimane il sindacato. Del resto anche in Europa gran parte dei paesi da tempo consentono ai militari di costituire ed aderire ad associazioni professionali a carattere sindacale senza che, per questo, sia stata messa in discussione né la gerarchia né la disciplina. In Italia, purtroppo, questo processo ha subito una battuta di arresto a seguito della nota sentenza della Corte Costituzionale che, inaspettatamente, non ha recepito la favorevole ordinanza del Consiglio di Stato in cui si sollevava l’incostituzionalità dell’articolo 8 della legge 11 luglio 1978 n.382.Non a caso l’origine di tale procedimento era partito proprio dall’iniziativa di alcune associazioni, operanti nel comparto, che in tal modo hanno contribuito ad alimentare il dibattito democratico avviato dal Parlamento Europeo che, in più occasioni, aveva invitato l’Italia ad adeguare il proprio ordinamento in materia.Pur non ritenendo esaurita del tutto la vicenda sindacale, sarebbe bene che la stessa rientri nell’alveo naturale delle competenze politiche del Parlamento che, in tal modo, avrebbe l’opportunità di completare e bilanciare le riforme sinora attuate.Inoltre, in passato, ci sono state ripetute polemiche a seguito dei forti contrasti istituzionali conseguenti all’azione rivendicativa dei Cocer; anche queste episodi dovrebbero far riflettere sulla necessità, ormai improcrastinabile, di prevedere un organismo di tutela del personale militare che operi e sia collocato al di fuori dell’ordinamento militare.In tal modo si otterrebbe il duplice risultato di consentire un’effettiva autotutela del personale militare e nello stesso tempo impedire il coinvolgimento delle stesse istituzioni militari in possibili atteggiamenti conflittuali.Siamo profondamente convinti dell’esigenza di produrre questo chiarimento affinché per il futuro non si abbiano a ripetere tentativi di indurre confusione nell’opinione pubblica e di turbativa istituzionale che nulla hanno a che vedere con la legittima tutela degli interessi del personale militare e delle forze di polizia ad ordinamento militare.Ormai è chiaro a tutti l’equivoco istituzionale costituito dalle Rappresentanze Militari dovuto non tanto ai loro poteri espliciti, alquanto inesistenti per la verità, bensì al loro stesso appartenere all’ordinamento interno delle istituzioni militari.Inoltre, dopo ventuno anni dall’istituzione della Legge dei Principi e dopo diciannove dal primo mandato, nel personale militare la sfiducia nell’istituto della Rappresentanza Militare è pressoché totale.Il sistema della R.M. ha esaurito ogni sua minima positività, pertanto, la maggioranza dei militari non sarebbe disposta ad accettare una pseudo riforma che non dovesse recepire l’esigenza di una reale autotutela e ciò al di la della coscienza sindacale posseduta dai singoli.Ecco perché, a nostro avviso, la Corte Costituzionale nella sua sentenza ha male interpretato il vuoto legislativo lasciato dal potere politico inquadrando nell’ordinamento speciale anche la tutela degli interessi del personale militare lasciando inalterate le incongruenze dell’attuale sistema.Ad esempio le alte gerarchie militari oltre a ricoprire il ruolo istituzionale nella gestione dell’Amministrazione Difesa, hanno loro rappresentanti nella stessa R.M., ricoprono il ruolo di controparte della R.M. ed inoltre, come tecnici, fanno parte della delegazione governativa che intrattiene con i Cocer quell’embrione di concertazione istituito con la legge 216/92.I risultati sono visibili a tutti con la recente legislazione ed i contratti sempre più sperequativi a danno dei gradi medio bassi. A questo punto è necessario consentire ai cittadini di partecipare a pieno titolo al processo di adeguamento istituzionale che, nel riconoscere ai militari l’esercizio delle piene libertà sindacali, consenta loro una reale autotutela e ponga fine, una volta per tutte, alle contraddizioni intrinseche dell’attuale Rappresentanza Militare.Tra l’altro considerata la tendenza, sempre più diffusa, delle grandi democrazie internazionali di far intervenire le F.A., magari sotto l’egida dell’ONU, in operazioni di mantenimento della pace ed umanitarie tese a ripristinare i diritti umani ed introdurre o ristabilire la democrazia, ogni paese ha la necessità di dotarsi di uno strumento efficiente e consapevole del delicatissimo compito affidatogli.Infine l’esigenza di adeguare ed armonizzare la legislazione nazionale con quella comunitaria, ha reso necessario accelerare il processo di maturazione - evoluzione delle problematiche legate all’esercizio del diritto sindacale dei militari italiani.Infatti, proprio l’esperienza europea ha dimostrato che non esiste alcuna incompatibilità professionale per i militari che esercitano il proprio diritto sindacale, il che conferma ed avvalora l’indirizzo della Carta Costituzionale italiana che, al riguardo, non prevede alcun divieto pertanto è incomprensibile che i militari italiani non possano godere degli stessi diritti garantiti ai loro colleghi europei con i quali collaborano e svolgono gli stessi compiti.A tal proposito si ritiene che, per decenza, bisognerebbe smettere di raccontare la solita barzelletta “sulla protezione dei militari italiani adeguatamente regolata dalla legge 11 luglio 1978 n.382 e dal decreto legislativo 12 maggio 1995 n.195”, perché ormai non fa ridere più nessuno ne tanto meno i membri del Comitato Europeo dei Diritti Sociali deputato a decidere sul ricorso presentato dalla Confederazione Europea dei Sindacati.Ecco perché l’A.Mi.D., nel rispetto della legislazione vigente, si adopererà, assieme a tutti gli altri soggetti che lo vorranno, a promuovere e favorire il dibattito politico affinché lo Stato investa le risorse necessarie per restituire fiducia e serenità al personale militare; condizione irrinunciabile per dotare anche il nostro Paese di Forze Armate efficienti e democratiche nel rispetto di tutti i diritti sanciti Costituzione Italiana, dalla Carta Sociale Europea e dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro.L’Italia se vuole annoverarsi, a ragione, tra i paesi che rispettano le regole internazionali del diritto, ormai non può più rinviare l’estensione delle libertà sindacali ai Comparti Difesa e Sicurezza dello Stato. IL PRESIDENTE Vincenzo FRALLICCIARDI

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