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Speciale di AMID sulla politica estera e militare degli USA. PDF Stampa E-mail
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Usa, la National Security Strategy 2006, una politica piĂą difensiva


Franco Apicella, 21 marzo 2006 by Pagine di Difesa


A meno di quattro anni dal precedente analogo documento del settembre 2002, lo scorso 16 marzo è stato pubblicato e messo on line sul sito della Casa Bianca il testo della National Security Strategy (Nss) 2006 Usa. Il presidente Bush, nella lettera di presentazione a sua firma, esordisce in maniera drastica: “L’America è in guerra”, riferendosi alla guerra al terrorismo. “Tra la strada della paura e quella della fiducia” di fronte a cui si trova oggi l’America, Bush afferma che l’Amministrazione ha scelto quella della fiducia. Altrettanto forte è il suo messaggio nella conclusione: “Per risolvere questi problemi sono necessari effettivi sforzi multinazionali. La storia ha dimostrato tuttavia che solo quando noi facciamo la nostra parte gli altri fanno la loro. L’America deve continuare a fare da guida”.

Il documento, oltre alla lettera del presidente, si articola in una panoramica iniziale, nove capitoli e una conclusione. I nove capitoli hanno la stessa struttura: un breve richiamo alla Nss del 2002, un paragrafo sui successi ottenuti e le sfide da affrontare e un paragrafo sulla strada ancora da percorrere. Si ha la sensazione di un documento a struttura rigida, studiato per una situazione di impegno diversa da quella di ottimismo che traspariva dal documento del 2002.

Sotto il titolo di “Aspirazioni fondamentali per la dignità umana” si passano in rassegna i risultati positivi ottenuti in varie parti del mondo a cominciare da Afghanistan e Iraq. Rimangono le tirannie, identificate in un preciso elenco di stati: Corea del nord, Iran, Siria, Cuba, Bielorussia, Burma (non viene riconosciuto il più recente nome di Myanmar) e Zimbabwe. In un successivo passaggio del documento viene ripresa la denominazione rogue state associata in particolare a Siria e Iran.

Prima ancora di questo elenco, per certi versi scontato, c’è un possibile riferimento alla Cina quando si parla di regimi “determinati a separare la libertà economica da quella politica, ricercando la prosperità mentre negano ai loro popoli i diritti fondamentali e le libertà”. Arriva invece una apertura per Hamas: “L’opportunità di pace e stabilità […] è aperta se Hamas abbandonerà le sue radici terroristiche e cambierà le sue relazioni con Israele”. Indirettamente viene fornita anche una spiegazione con il titolo del successivo paragrafo: “Coerenti coi princìpi negli obiettivi, pragmatici nei mezzi”.

Nel capitolo dedicato al terrorismo si afferma che il contrasto deve cominciare dagli stessi stati islamici; il documento cita Giordania, Marocco e Indonesia tra i Paesi che hanno intrapreso questa strada. Pakistan e Arabia Saudita sono invece considerati già come partner, oltre all’Afghanistan e all’Iraq, al fianco dei cui soldati gli “Stati Uniti sono fieri di stare”. Retorica a parte, a questi due Paesi è riservato uno spazio dal titolo “Afghanistan e Iraq: le prime linee nella guerra al terrore” che esordisce con la frase “Per vincere la guerra al terrore è necessario vincere le battaglie in Afghanistan e in Iraq”.

Altre situazioni di crisi sono analizzate nel successivo capitolo; nel giro d’orizzonte planetario sono citati tra gli eventi positivi anche gli accordi che hanno avviato a soluzione il conflitto nell’Irlanda del nord. Non viene invece citata la Cecenia né il Caucaso. L’impegno dell’Amministrazione nella risoluzione delle situazioni conflittuali viene teorizzato in tre possibili fasi: “Prevenzione e soluzione del conflitto; intervento nel conflitto; stabilizzazione post conflitto e ricostruzione”.

E’ la codificazione di quanto si è già verificato nei fatti, con una maggiore attenzione all’ultima fase. Si annuncia infatti l’istituzione nel Dipartimento di Stato di un “Ufficio del coordinatore per la ricostruzione e la stabilizzazione”. Per l’intervento nel conflitto invece “recenti esperienze hanno evidenziato che la comunità internazionale non ha sufficienti forze militari di elevata qualità addestrate e capaci di condurre queste operazioni di pace”. La frase successiva coinvolge direttamente la Nato, con la quale l’amministrazione “sta lavorando per migliorare la capacità degli stati di intervenire in situazioni di conflitto”.

Il capitolo in cui sono trattate le armi di distruzione di massa (Wmd) ha attirato forse più degli altri l’attenzione dei commentatori. Iran e Corea del nord sono i protagonisti in negativo e a conclusione dell’esame della situazione in ciascuno dei due Paesi viene riportata la stessa frase: “Nel frattempo continueremo a prendere tutte le misure necessarie per proteggere la nostra sicurezza nazionale ed economica contro gli effetti negativi del loro cattivo comportamento”.

Solo nella conclusione del capitolo viene rivendicata, ma senza alcun riferimento specifico, la possibilità del ricorso all’uso preventivo della forza: “Prendere provvedimenti non comporta necessariamente l’uso della forza militare. […] Se necessario, tuttavia, sulla base dei principi sempre validi dell’autodifesa, non escludiamo l’uso della forza prima che venga portato un attacco, anche se rimanesse l’incertezza in merito al tempo e al luogo dell’attacco nemico”.

Nella seconda parte del documento si trattano i grandi temi dello sviluppo economico, della diffusione della democrazia, e della cooperazione con le altre istituzioni internazionali. Non vi si trovano novità sostanziali; potrebbe piuttosto suonare strano il paragrafo di una pagina intitolato Europa che esordisce trattando della Nato. Nel sintetico punto di situazione si fa anche un cenno ai rapporti con l’Unione Europea, che tuttavia non viene citata nella frase successiva dedicata all’Europa.

Al paragrafo Europa segue quello intitolato Russia, in cui si manifesta la preoccupazione sulle tendenze recenti che “indicano purtroppo una diminuzione nell’impegno verso le libertà e le istituzioni democratiche”. Le considerazioni sono molto sintetiche, ma di questo argomento ha già trattato diffusamente il Dipartimento di Stato nel suo “ Country Reports on Human Rights Practices 2005” dello scorso 8 marzo mentre il US Council on Foreign Relations, seppure in veste formalmente autonoma dall’Amministrazione, ha di recente pubblicato un documento dal titolo inequivocabile “La direzione sbagliata della Russia: cosa possono e devono fare gli Usa”.

Nella parte dedicata all’Asia orientale vengono esplicitamente indicati come alleati e key friends Indonesia, Malaysia, Filippine, Singapore e Thailandia. Alla Cina è riservata una pagina e mezza in cui tra l’altro si fa carico ai suoi leader di pensare e agire alla vecchia maniera “continuando l’espansione militare della Cina in modo non trasparente”.

L’ultimo capitolo prima delle conclusioni è dedicato alla trasformazione delle istituzioni americane dedicate alla sicurezza: Dipartimento della sicurezza interna, Comunità intelligence e Dipartimento della Difesa. C’è un solo cenno di diretto interesse delle forze armate e riguarda l’espansione delle forze per operazioni speciali e gli investimenti in capacità convenzionali avanzate di cui però non viene dato alcun esempio.

Nella strada da percorrere per il futuro viene attribuita priorità al “riorientamento del Dipartimento di Stato verso una diplomazia della trasformazione”. Si tratta di un nuovo modus operandi che devono adottare i diplomatici Usa rendendosi partecipi “delle sfide nell’ambito delle altre società, aiutandole direttamente, portando loro assistenza e imparando dalle loro esperienze”. Sembrerebbe una azione ad ampio spettro che spazia dall’ingerenza umanitaria al soft power.

All’Onu è dedicata una pagina nell’ambito delle priorità da perseguire in politica estera insieme con gli alleati. Viene indicata la necessità di “promuovere riforme significative” anche attraverso “il miglioramento delle capacità dell’Onu e delle organizzazioni regionali di costituire per le operazioni di pace unità militari e di forze dell’ordine bene addestrate, di rapido schieramento e sostenibili”. In definitiva quanto già detto a proposito della Nato. Non viene fatto alcun cenno alla riforma del Consiglio di Sicurezza.

L’atteggiamento della Amministrazione Usa nei confronti dell’Onu e di altre organizzazioni traspare da questa frase, anche se riferita esplicitamente allo tsunami del 2004: “Le istituzioni internazionali oggi esistenti hanno un ruolo da svolgere, ma in molti casi le coalizioni dei volonterosi possono essere in grado di rispondere in modo più tempestivo e creativo”.

La conclusione del documento è molto sintetica, due frasi. Nella seconda è detto: “L’America deve guidare coi fatti così come con l’esempio”, confermando quanto aveva già concluso il presidente Bush nella sua lettera “L’America deve continuare a fare da guida”. Alla fine però resta l’impressione che questa del 2006 sia una strategia più contenuta e difensiva rispetto a quella energica e ottimistica del 2002.

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Le droghe sono cari, è per questo che alcuni pazienti non possono comprare le medicine di cui hanno bisogno. Tutti i farmaci di sconto risparmiare denaro, ma a volte le aziende offrono condizioni migliori rispetto ad altri. Circa il venti per cento degli uomini di età compresa tra 40 e 70 non erano in grado di ottenere l'erezione durante il sesso. Ma non è una parte naturale dell'invecchiamento. Questioni come "Comprare kamagra oral jelly 100mg" o "Kamagra Oral Jelly" sono molto popolari per l'anno scorso. Quasi ogni adulto conosce "kamagra 100mg". Le questioni, come "Comprare kamagra 100mg", si riferiscono a tipi diversi di problemi di salute. In genere, avendo disordine ottenere un'erezione può essere difficile. Prima di prendere il Kamagra, informi il medico se si hanno problemi di sanguinamento. Ci auguriamo che le informazioni qui risponde ad alcune delle vostre domande, ma si prega di contattare il medico se si vuole sapere di più. personale professionale sono esperti, e non saranno scioccati da tutto ciò che dici.

Nel rinnovo del Patriot Act, che richiedeva alla Camera una maggioranza dei due terzi - il margine è stato di soli due voti - è una vittoria politica del presidente Bush e della maggioranza repubblicana.

L'opposizione democratica, dopo aveva cercato di bloccare il provvedimento, s'è contentata di modifiche marginali che dovrebbero comunque ridurre le violazioni legali dei diritti civili: le autorità federali mantengono il diritto di ottenere informazioni personali confidenziali, per inchieste anti-terrorismo, ma la gente presa di mira senza motivo ha una lieve possibilità in più di appellarsi alla giustizia.

L’approvazione del nuovo Patriot Act arriva ad un mese dalla pubblicazione del nuovo Piano Nazionale di Strategia Militare (NMSP), redatto dal Pentagono per coordinare gli sforzi militari nella guerra al terrorismo, riconosciuta come priorità della politica estera dell’amministrazione americana. Questo nuovo documento, inserito nella scia di quello del 2004, sembra riconoscere alcuni deficit organizzativi subiti nel passato e si propone di costruire un’analisi integrata della rete terroristica.

Il Piano, elaborato dallo staff del Generale dei Marine Peter Pace, Capo di Stato maggiore americano, applica in campo militare le direttive della politica estera nazionale, delineando un disegno strategico basato sulle linee guida tracciate dal Segretario alla Difesa, Ronald Rusmfeld.

La vera novità di questo rapporto sta nel riconoscimento che la strategia militare, da sola, non basta. In una sigla (DIMEFIL) si sintetizza l’integrazione di Diplomazia, Informazione, Militari, Economia, Finanza, Intelligence e rafforzamento della Legge. Dunque, non solo forza (o minaccia) militare ma soprattutto pressioni economiche e finanziarie che si rivelano spesso più efficaci a condizionare il comportamento di agenti internazionali.

Insomma, quasi un riconoscimento al fino ad ora tanto bistrattato "soft power" europeo.

 
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