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Piano d'impiego del contingente italiano in Iraq. PDF Stampa E-mail

Piano d'impiego del contingente italiano in Iraq


Antonio Martino, 20 gennaio 2006

Intervento del ministro della Difesa, Antonio Martino, davanti alle commissioni Difesa di Camera e Senato a Montecitorio, sala del Mappamondo, il 19 gennaio 2006.

Signori Presidenti, Onorevoli Senatori e Deputati, la tabella di marcia per la rifondazione democratica dell'Iraq viene puntualmente rispettata. I tempi e i modi di tale processo sono scanditi non da un calendario avulso dal reale contesto iracheno, ma dalle scadenze di una dinamica positiva che vede il progressivo conseguimento delle condizioni previste dal piano stabilito da Nazioni Unite, Coalizione e legittimo Governo iracheno. Quattro le "pietre miliari" di questo processo, nell'ordine: il passaggio della sovranità al Governo interinale iracheno, a fine giugno 2004; le elezioni politiche del gennaio 2005, per la creazione di un'Assemblea Costituente e del Governo provvisorio; la redazione della Costituzione entro la metà di agosto 2005, approvata con il referendum confermativo del 15 ottobre; le elezioni politiche "definitive", del 15 dicembre, che porteranno alla formazione di un Parlamento ampiamente rappresentativo e, nel mese di marzo, di un nuovo Governo, con mandato quadriennale.

Si tratta di un percorso che si compie in tempi straordinariamente brevi, se confrontati alla portata di quelle tappe e alla normale durata dei grandi processi della storia di un paese che non può essere misurata in giorni, in settimane o in mesi. Basti pensare ai Balcani. E' un dato di fatto che, oggi, in Iraq ci sono decine di forze politiche, centinaia di quotidiani, tante radio libere e televisioni, anche satellitari: segnali di una sorprendente accelerazione democratica. Il voto degli sciiti, dei curdi e dei sunniti, per eleggere il nuovo e sovrano Parlamento di Baghdad, in tre votazioni in un solo anno, con una partecipazione sempre crescente alle urne, dimostra come la democrazia non sia una peculiarità occidentale ma un'aspirazione radicata nella coscienza universale, che può rapidamente attecchire laddove si creino le condizioni di sicurezza e libertà. Crediamo che tutto ciò in Iraq sia possibile anche per la nostra presenza, da quando, terminata la guerra, alla quale non abbiamo partecipato, siamo intervenuti per aiutare la pacificazione del paese. Abbiamo fatto, allora, una scelta di campo fra democrazia e terrorismo. Ancora oggi rivendichiamo con orgoglio quella scelta e l'impegno in una missione sin dal principio mirata alla sicurezza e al sostegno economico e politico del popolo iracheno.

In Iraq come altrove, i nostri militari non fanno la guerra a nessuno, piuttosto portano sicurezza, alleviano le sofferenze e aiutano la gente nelle proprie necessità quotidiane e nei servizi essenziali e insieme alla gente ricostruiscono un paese umiliato da decenni di feroce dittatura. In questo senso il nostro Paese ha sempre mantenuto una linea di coerenza fra azione politica e impegno operativo del nostro contingente, nel rispetto del mandato delle Nazioni Unite espresso nelle Risoluzioni 1483 e 1511, che hanno configurato per la crisi irachena una soluzione multilaterale, con un ruolo centrale dell'Onu. Questo lo dobbiamo ricordare: è l'Onu che ha invitato gli Stati membri a intervenire, anche con una forza militare multinazionale in grado di scongiurare il rischio che la ricostruzione del paese soccomba al ricatto della violenza terroristica.

Signori Presidenti, Onorevoli Senatori e Deputati, questi due anni e mezzo dalla fine della guerra, che ha portato alla caduta di Saddam Hussein, hanno dimostrato come l'Iraq rappresenti il fronte avanzato dell'impegno comune nella lotta contro il terrorismo internazionale. Come in Afghanistan, in questo momento più che in Afgahnistan. Le bombe di Londra, di Madrid, di New York, di Sharm el Sheik, come le bombe di Bagdad e di Kabul, provengono dallo stesso disegno terroristico. Non ci possono essere strategie diverse per combattere il terrorismo sanguinario, se non farlo dove si presenta e dove sono le sue radici. Questo terrorismo ancora dilagante, di carattere globale e definitivo, che tutti minaccia, è un problema che riguarda tutti, anche noi italiani. Noi ci stiamo difendendo da questa insidiosa minaccia e per sconfiggerla abbiamo bisogno di impegno comune e di saldezza nei nostri principi. Non dobbiamo abbassare la guardia, in Patria e all'estero, mantenendo una posizione al contempo di fermezza e di disponibilità al dialogo fra popoli e religioni diverse, come è giusto e proprio della nostra cultura.

Il dopo-guerra si è rivelato più difficile del previsto, è vero, ma il cammino intrapreso non si è mai fermato e sta dando i suoi frutti. E' un cammino ancora lungo e irto di difficoltà, che impone prioritariamente il consolidamento della sicurezza, senza la quale non ci può essere né libertà, né democrazia. Le molte perdite hanno causato ferite profonde. La ricostruzione ha proceduto a rilento. D'altra parte, nessuna nazione nella storia ha compiuto la transizione verso una società libera e democratica senza aver dovuto superare ostacoli e subire lutti. Lo stesso voto del 15 dicembre, anche se eccezionalmente partecipato, non rappresenta il completamento del processo politico. Restano nuove e difficili sfide, guerriglia diffusa e probabilmente altri attentati terroristici. Per questo gli iracheni devono ricercare forme istituzionali il più possibile "inclusive", incoraggiare la riconciliazione nazionale, consolidare un sistema di diritti e garanzie e preservare la tenuta di una fragile democrazia in un contesto pieno di insidie. Sarà la storia a dirci del successo o meno del grande disegno strategico della trasformazione dell'Iraq in una democrazia libera e capace di produrre un positivo effetto di trascinamento anche su altri paesi della regione. Ma è chiaro che la sfida irachena può essere vinta e che trova il suo maggiore sostenitore nel popolo iracheno, che sa di stare meglio oggi che sotto Saddam Hussein.

Signori Presidenti, Onorevoli Senatorie eDeputati, il 15 dicembre, proprio in occasione delle elezioni, ho preso l'impegno di portare la questione irachena in Parlamento e di farlo in occasione della presentazione del provvedimento di proroga della missione "Antica Babilonia" per il primo semestre di questo anno. E qui voglio fare una precisazione rispetto a una anticipazione sui giornali di oggi. In quella intervista, peraltro rilasciata qualche giorno fa, esprimevo un'idea, una riflessione, certo non un piano, un programma articolato, concordato, coerente, fattibile. Ne sono prova l'imprecisione delle date e l'indeterminatezza degli elementi. E', invece, questa la sede in cui il Governo presenta il proprio programma e lo confronta con le posizioni delle varie forze politiche. Mi riferisco, specificamente, ai tempi e alla configurazione del nostro contingente in Teatro e alla questione del progressivo rientro dei nostri militari.

Ricordo che la configurazione "storica" del nostro contingente a Nassiryia, fino all'estate 2005, ha visto una presenza media di circa 3200 unità. Già a settembre abbiamo operato una prima riduzione del 10% della forza. Il 15 dicembre annunciavo che avevo disposto che a gennaio 2006, in occasione del sostituzione della brigata Ariete con la brigata Sassari, si facesse un'ulteriore riduzione del 10% degli uomini. Riduzioni, queste, attuate, deve essere ricordato, senza modificare la natura della missione, che vede il nostro contingente in grado di assicurare lo stesso livello di efficacia con un minor numero di effettivi. Ora, in Parlamento, il Governo può presentare un piano complessivo della nostra presenza in Teatro, anche perché riscontriamo un più sereno e obiettivo approccio al problema, che consente di ricercare costruttivamente una soluzione condivisa e realistica. Con la consapevolezza che a pagare le possibili conseguenze di eventuali scelte errate sarebbe la gente di Nassiriya in primo luogo e la credibilità globale del nostro paese successivamente. Né una cosa, né l'altra debbono accadere.

Ci si interroga sulla nostra strategia d'uscita. Come abbiamo più volte detto, noi la definiamo "strategia del successo": man mano che portiamo a compimento i nostri compiti possiamo alleggerire la nostra presenza. Con l'obiettivo di fare rientrare i nostri soldati solo a missione compiuta. Dunque, l'importante non è l'uscita, ma il successo, perché senza successo non ci sarebbe uscita onorevole. Anche per questo, noi non abbiamo mai parlato di ritiro, una parola che non appartiene al nostro vocabolario. Ci chiediamo se coloro che parlano di ritiro immediato sappiano cosa significherebbe abbandonare gli iracheni, demoralizzare le nostre truppe, tradire la memoria di quanti hanno sacrificato la propria vita, aggravare il quadro di sicurezza, con il rischio che attacchi armati, omicidi, rapimenti, degenerino in una guerra civile. Potrebbe essere interpretato come un segno di cedimento, come una resa al terrorismo.

Un obiettivo esame della situazione ci dice che stiamo vedendo nascere e crescere un nuovo Iraq, in grado di determinare le proprie scelte di indirizzo politico, culturale ed economico, liberato dalla pressione di ogni forma di dittatura ideologica, culturalmente e religiosamente inaccettabile per una società democratica fondata su valori di libertà e di sviluppo. Registriamo significativi risultati. La presenza del nostro contingente rappresenta un determinante fattore di stabilità nella provincia, anche se questa è affetta da endemici e complessi problemi di ordine pubblico, sociale ed economico. Con un maggiore grado di sicurezza nella regione a noi affidata è stato possibile dare impulso alle varie iniziative umanitarie, svolgere progetti, verifiche e interventi urgenti, anche in settori tipicamente non militari, quali quello della giustizia, dell'istruzione, dei servizi pubblici e della pubblica amministrazione, del settore igienico-sanitario nonché a tutela del patrimonio culturale e archeologico iracheno.

D'altra parte, il lavoro dei nostri militari non è ancora ultimato: ne ho avuto conferma nei miei incontri con il presidente Talabani, con il primo ministro al-Jaafari, con il governatore della Provincia di Nassiriya Al-Ohey, con il leader curdo Barzani. Questi e gli altri interlocutori iracheni sono da noi tenuti nella massima considerazione, proprio perché qualunque scelta che riguarda il loro paese deve prioritariamente trovare concordi quelle autorità. Manifestando la loro gratitudine, mi hanno ribadito che la nostra presenza in Iraq è ben vista, apprezzata e fortemente voluta dal popolo e hanno insistito perché restiamo fino a quando le condizioni di sicurezza siano maggiormente consolidate. La sola presenza di militari italiani costituisce un segnale politico, sia nel senso della continuità dell'impegno della comunità internazionale, e in particolare degli europei, sia quale evidenza che la stabilizzazione e la ricostruzione sono responsabilità che non fanno capo solo agli Stati Uniti.

Signori Presidenti, Onorevoli Senatorie eDeputati, a seguito della richiesta delle nascenti istituzioni irachene, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con la Risoluzione 1546 e con la Risoluzione 1637 del 9 novembre scorso, ha prolungato il mandato della Multinational Force sino a tutto il 2006, in un quadro di crescente sostegno internazionale all'Iraq, come dimostra l'impegno della Nato e quello dei paesi arabi, convocati alla importante "Conferenza per la riconciliazione" sull'Iraq, alla fine di febbraio ad Amman. Un quadro nel quale il Governo italiano auspica e sostiene anche un maggiore coinvolgimento europeo. Soltanto dopo aver conseguito significativi progressi nella preparazione delle Forze di sicurezza irachene, in termini di standard qualitativi e non solo quantitativi, si potranno porre le basi di una credibile e graduale strategia di disimpegno. È illusorio, infatti, immaginare che l'Iraq trovi pace e sviluppo senza essere autonomamente in grado di arginare efficacemente la violenza e la criminalità, di garantire ordine e legalità.

La Forza multinazionale, mentre fornisce assistenza per la sicurezza, svolge un'essenziale attività di addestramento per preparare le forze irachene all'assunzione delle responsabilità del controllo del territorio e di mantenimento di condizioni minime di sicurezza. Va ricordato che i contingenti italiani hanno finora addestrato oltre 11.000 poliziotti e circa 2.000 soldati, che, in occasione delle tornate elettorali del 2005, hanno validamente contribuito al mantenimento delle condizioni di sicurezza necessarie per le regolari operazioni di voto. In generale, nonostante le intimidazioni, le operazioni di reclutamento proseguono a un ritmo elevato interessando non solo le comunità sciite e curde, ma anche quelle sunnite. Attualmente il totale delle Forze irachene ammonta ad oltre 200.000 unità. Nonostante i notevoli progressi, esse non hanno tuttavia ancora acquisito un'efficace capacità di azione autonoma.

Signori Presidenti, Onorevoli Senatori e Deputati, è in questo quadro che valutiamo la portata della nostra presenza nella Forza multinazionale, ne modifichiamo la configurazione, ne adeguiamo la struttura, ne decidiamo la copertura finanziaria. Abbiamo sempre sostenuto che l'operazione "Antica Babilonia" non è a tempo indeterminato. Mentre continuiamo nel nostro lavoro di aiuto e sostegno, auspichiamo che un'accelerazione del già avviato trasferimento di responsabilità consenta di spostare utili risorse al settore della cooperazione economica e dell'assistenza civile. Naturalmente, qualunque decisione relativa alla presenza del contingente italiano viene assunta in stretta consultazione con il Governo Iracheno e con i nostri partner ed è legata al conseguimento degli obiettivi comuni.

Un progetto complessivo e coerente, secondo una visione condivisa, pone una stretta connessione tra prospettive di graduale disimpegno militare e condizioni in teatro, configurabili in tre stadi: quello politico, a breve termine, che vede l'Iraq compiere progressi nel combattere il terrorismo, nell'edificare le istituzioni politiche, con l'integrazione delle varie componenti etnico-religiose, nel costruire istituzioni stabili, democratiche ed efficienti; quello della sicurezza, nel medio periodo, che comporta che l'Iraq assuma la piena responsabilità nel mantenere la propria sicurezza, sempre più autonomamente, eliminando la residua guerriglia ed estendendo le aree sotto il controllo effettivo del Governo legittimo, insediato sulla base della Costituzione; quello economico, nel lungo periodo, che prevede un Iraq pacifico, unito, stabile, sicuro, ben integrato nella comunità internazionale e partner nella lotta globale al terrorismo, un paese con un'economia in grado di auto-sostenersi, attraverso la realizzazione di opere infrastrutturali, profonde riforme economiche e un pieno inserimento del paese nell'economia internazionale.

Il progetto più accreditato è rappresentato dalla costituzione di una struttura del tipo di quella sperimentata in Afghanistan, sia pure in un contesto ben differente, che richiede diverse soluzioni. Mi riferisco alla formazione di "Provincial Reconstruction Team" (Prt), di cui tre sperimentali sono già stati avviati dagli Stati Uniti. I Prt sono piattaforme multifunzionali, a caratterizzazione prettamente civile, capaci di modulare le attività in maniera variabile su di un ampio spettro di interventi quali ricostruzione, sicurezza, assistenza allo sviluppo e buon governo, sanità, in stretto e prioritario raccordo con le autorità locali. E', naturalmente, cruciale il contesto di sicurezza nel quale i Prt dovranno operare. Su questo aspetto, e su quello del supporto logistico, si sta ancora ricercando una definizione condivisa. Dall'avvio essi potranno contare sulla presenza della Forza Multinazionale, nelle nuove forme che essa progressivamente assumerà nel corso del 2006, e, sempre più nel tempo, sulle migliorate capacità irachene.

Il progetto guarda principalmente alla crescita delle capacità necessarie a rendere sostenibile l'assunzione di responsabilità autonoma da parte irachena, non soltanto nel settore sicurezza, ma in tutti i settori sensibili e a tutti i livelli della pubblica amministrazione, mirando, proprio attraverso strutture di questo tipo, a realizzare la stabilizzazione politica, sociale ed economica del paese. Il modello generale muove nella prospettiva della piena assunzione da parte irachena di tutta l'attività dei Prt stessi nell'arco di un paio di anni, prevedendone la disattivazione con il definitivo passaggio di responsabilità al "Local Governance Program", per la fine del 2007. Al riguardo, le buone condizioni di partenza nella provincia del Dhi Qar potrebbero garantire risultati concreti in tempi più rapidi rispetto ad altre situazioni, soprattutto in considerazione del forte potenziale economico e della posizione di via d'accesso privilegiata al paese, dei progressi raggiunti nella crescita delle istituzioni e nel funzionamento della pubblica amministrazione, oltre che della presenza di meccanismi di coordinamento ben avviati e che iniziano a dare risultati importanti in tutti i settori di cooperazione e sviluppo.

In questo quadro complessivo, abbiamo espresso l'interesse italiano a condividere con i partner della coalizione iniziative e progetti che contribuiscano a rafforzare la nostra presenza in Iraq sul piano civile. Si esplorano tutte le ipotesi di collaborazione e realizzazione di comuni strategie economiche e di investimento, quali la possibile creazione di joint-venture tra imprese italiane e locali in specifici settori d'intervento quali quelli agricolo, industriale, delle costruzioni, della salute e dell'energia, commerciale e del turismo culturale. E', questa, una fase in cui si passa da interventi in emergenza a progetti più mirati alla ricostruzione. Attraverso una continua interazione fra le Amministrazioni degli Esteri e della Difesa e con incontri, visite, contatti a diversi livelli ed ambiti, si stanno ponendo le basi per la valutazione di prospettive di partnership in grado di avviare un processo virtuoso di sviluppo della provincia di Dhi Qar.

Una missione di operatori economici italiani è prevista in questo mese in Dhi Qar e successivamente in Kurdistan. Si sta anche valutando la possibilità di realizzare a Nassiriya un'area attrezzata destinata a ospitare le strutture economiche italiane interessate a operare nella provincia. Per le imprese italiane si potrebbe aprire una promettente fase di opportunità, sia pure con la consapevolezza che la fase di ricostruzione e di apertura agli investimenti stranieri possa essere concretamente attuata dopo l'insediamento delle istituzioni che risulteranno dalle elezioni generali del 15 dicembre scorso e a seguito dell'entrata in vigore di un quadro normativo e di garanzie di riferimento.

Signori Presidenti, Onorevoli Senatori e Deputati, dal quadro qui tracciato emergono due fatti, indicativi di una situazione fortemente evolutiva: che il lavoro dei nostri militari sta cambiando, e con esso la configurazione del contingente, e che in futuro la presenza italiana in Iraq potrà assumere una nuova e diversa forma. Vediamo cosa questo comporti in termini concreti. Nel contesto degli impegni internazionali e dei rapporti con il Governo iracheno, il lavoro dei nostri militari può essere oggi temporalmente programmabile: l'Operazione "Antica Babilonia" vede evolvere gradualmente la fisionomia della propria missione, con una prospettiva di compimento entro il 2006. Il programma prevede due fasi corrispondenti, rispettivamente, al primo ed al secondo semestre del 2006.

La prima fase prevede il graduale trasferimento dei compiti dal contingente alle forze di difesa e sicurezza irachene e la conseguente progressiva riduzione della componente militare nazionale. La seconda fase prevede una sempre più estesa cooperazione civile e il corrispondente progressivo disimpegno del contingente militare. La prima metà del 2006 rappresenta la fase cruciale per il consolidamento del processo politico, con il graduale e sempre più effettivo passaggio di consegne agli iracheni della sicurezza e del controllo del territorio e con la progressiva ristrutturazione dei compiti della Forza Multinazionale. Le riduzioni del contingente italiano, già in atto, vengono via via compensate da un proporzionale aumento dell'impegno in particolari settori, come quello dell'addestramento e del miglioramento delle "capacità" del Ministero della Difesa iracheno, ai quali l'Italia già si dedica con successo.

Con il miglioramento della situazione di sicurezza e col crescere delle capacità delle forze di sicurezza irachene, le attività di presenza del contingente nazionale, in particolare quelle di sorveglianza areale, si diraderanno sempre più. Già ora l'attività del nostro Contingente è focalizzata su: l'attuazione della riforma del settore di sicurezza iracheno; l'azione di "monitoring-mentoring" delle forze di sicurezza irachene; progetti Cimic, di cooperazioni civili-militari. Progressivamente, si configurerà un ulteriore e più sostanziale conferimento di responsabilità alle forze irachene, mentre le forze della Coalizione si limiteranno alla "Force protection" delle infrastrutture chiave e a rendere disponibile una forza di pronta reazione nel caso in cui la situazione di sicurezza dovesse deteriorarsi.

Tale significativa riconfigurazione dei compiti operativi è previsto che si protragga orientativamente fino alla metà del 2006. Essa consentirà una consistente riduzione numerica del contingente, secondo un calendario così stabilito: una riduzione di circa 300 uomini in questo mese di gennaio 2006; una riduzione di circa 1.000 uomini entro il mese di giugno 2006. In tal guisa, rispetto alla composizione standard del contingente di 3.200 uomini e tenendo in conto anche la riduzione di 300 unità attuata nello scorso mese di settembre, al mese di giugno 2006 si sarà realizzata una riduzione complessiva di circa metà della forza. Con l'inizio del secondo semestre dell'anno, in concomitanza con il dibattito parlamentare per la proroga delle missioni in detto periodo, resteranno circa 1600 uomini. In quel periodo dell'anno, sarà già stato avviato il diverso impegno di sostegno e aiuto al popolo iracheno, che dovrà essere concordato con gli alleati e con il legittimo Governo iracheno. Un impegno a prevalente caratterizzazione civile, che non escluderà una presenza militare, del tutto distinta dall'attuale, per garantire le irrinunciabili condizioni di sicurezza agli operatori civili.

In particolare, siamo in condizioni di assumere la responsabilità della direzione e della gestione di un eventuale futuro Prt nella Provincia del Dhi Qar, nonché il controllo dei principali settori d'intervento: "governance" e "capacity building", "rule of law" e sviluppo delle infrastrutture. Una prospettiva che conferirebbe valore aggiunto al grande sforzo sostenuto dal contingente militare nazionale nella precedente fase di stabilizzazione e ricostruzione. A tale ipotesi il Dicastero degli Esteri, sta lavorando con i partner per meglio definire l'impegno organizzativo e finanziario e il relativo arco temporale, che potrebbe interessare gli anni 2006 e 2007. Quando tali aspetti saranno più chiari, il Governo potrà portare la questione in Parlamento, che su di essa dovrà esprimersi.

Dunque, mentre l'Operazione "Antica Babilonia" andrà esaurendosi in corso d'anno, crescerà contestualmente un altro tipo di missione, di natura sostanzialmente civile: verrebbe naturale pensare di chiamarla Operazione "Nuova Babilonia". Va chiaramente detto che non si tratta della stessa cosa con diverso nome. L'una è sostanzialmente diversa dall'altra, per mandato della missione, in termini militari per diversi ordini e direttive operative, per dimensione e per qualità, degli operatori, delle attività, della catena organizzativa e di comando e controllo. In tale quadro l'operazione militare "Antica Babilonia" ultimerà gradualmente il proprio mandato nel corso dello stesso anno 2006 e sarà considerata conclusa alla fine dell'anno, avendo definitivamente compiuto la propria missione.

Signori Presidenti, Onorevoli Senatori e Deputati, seguendo queste linee d'azione, il Governo intende mantener fede ai propri impegni e rispettare le proprie responsabilità, verso il popolo iracheno e verso la comunità internazionale. In Iraq come in altre parti del mondo. L'Italia è il terzo Paese per impegno nelle operazioni internazionali di costruzione e di mantenimento della pace. È un Paese che negli ultimi anni ha rappresentato un punto di riferimento importante in Europa e nel mondo. È il Paese che ha rafforzato l'Alleanza Atlantica con l'accordo tra la Nato e la Russia. È il Paese che si è battuto per mantenere, fra l'altro, insieme alla Gran Bretagna, un solido rapporto tra Europa e Stati Uniti e, nella presente situazione, resta impegnato per sostenere il piano di pace dell'Onu in Iraq.

Il rientro del contingente, metà entro giugno 2006 e metà entro l'anno realizzerà la degna conclusione di un'operazione coronata dal successo. Sarà un rientro dignitoso, senza alcuna concessione alle richieste di ritiro immediato, sostenute da posizioni di malinteso pacifismo e di pretestuoso antiamericanismo, che non condividiamo. Sarà un rientro giusto: perché attuato in tempi compatibili con la ricostruzione e la rinascita di quel paese, perché compensato da un'importante operazione di carattere prevalentemente civile, perché corrispondente alla volontà degli iracheni, non abbandonati al loro destino, perché coerente con i positivi risultati ottenuti nell'area dal contingente italiano, perché concordato con gli Alleati ed in linea con gli accordi presi e con le disposizioni delle Nazioni Unite circa la permanenza della Forza multinazionale in Iraq per tutto il 2006. I nostri militari, ancora una volta, porteranno a termine la loro missione al meglio, contribuendo con il loro impegno e sacrificio a dare una prospettiva migliore al popolo iracheno ed arricchendo di una nuova pagina lo straordinario patrimonio di solidarietà che appartiene al popolo italiano.

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