Consiglio supremo di Difesa, il commento dell'editorialista G. Martinelli Stampa
Consiglio supremo di Difesa, decisioni importanti e occasioni mancate
di Giovanni Martinelli da Pagine di Difesa
Quello che si evince dalla lettura del comunicato diffuso dal Quirinale al termine del Consiglio supremo di Difesa del 29 gennaio scorso e che, contrariamente a quanto sarebbe stato tutto sommato lecito aspettarsi, i temi trattati hanno finito con il dare origine, in positivo o in negativo, a decisioni non prive di una certa rilevanza.
Nel dettaglio, due erano gli argomenti all'ordine del giorno. Con la trattazione del primo, cioè l'analisi della situazione internazionale e il quadro delle missioni all'estero delle forze armate, si è avuta la riconferma dell'impegno del nostro Paese in tutti i teatri operativi che già oggi ci vedono coinvolti, sottolineando ancora una volta l'importanza dello strumento militare nell'ambito delle situazioni di crisi, sia da un punto di vista della loro stabilizzazione che della loro soluzione.
La novità di rilievo è invece rappresentata dalla disponibilità alla partecipazione a una missione multinazionale di pattugliamento marittimo e da una di controllo dei valichi (nello specifico quello di Rafah) nella striscia di Gaza. Si tratta, com'è noto, di impegni che scaturiscono dal recente conflitto tra Israele e Hamas e che, precisa il Consiglio, potranno essere messi in pratica solo quando le condizioni politiche lo consentiranno.
A questo proposito pare opportuno aggiungere un paio di considerazioni. La prima è che, anche in questo caso, il nostro Paese da l'impressione di non essere in grado di mettere a punto un processo decisionale capace di mettere a fuoco vantaggi e svantaggi (o, se si preferisce, costi e benefici) della partecipazione a questa o quella missione: sembra cioè prevalere una componente emotiva rispetto a una prettamente razionale che tenga anche conto dei reali interessi nazionali in gioco, di quali siano i rischi connessi e su quali risorse si possa far conto. Tema, quello delle risorse, che ci conduce alla seconda considerazione e che riconferma una volta ancora tutti i dubbi su certe scelte.
In estrema sintesi, come è possibile che il quarto Paese contributore (sia in ambito Nato che Ue) in termini di uomini alle diverse missioni internazionali sia allo stesso tempo ultimo in termini di spese per la Difesa? Un'incoerenza di fondo, una fra le tante, che comunque andrebbe risolta, giusto perché non contribuisca ulteriormente al prosciugamento delle ultime capacità operative delle forze armate stesse.
Sempre nell'ambito dello stesso argomento è stato poi trattato il tema dell'impiego dei militari con compiti di ordine pubblico; com'è noto, nei giorni scorsi era stata avanzata la proposta di aumentare fino a 30mila il numero dei militari impegnati nell'operazione Strade Sicure, in concorso con le forze dell'ordine nei compiti di mantenimento dell'ordine pubblico e di controllo del territorio.
Ebbene, nonostante il grande risalto mediatico dato a tale iniziativa, si deve osservare come il Consiglio stesso abbia provveduto a riportare i termini della questione in un più corretto ambito; ricordando infatti la limitatezza delle risorse a disposizione e la priorità da assegnare ai compiti propri dello strumento militare, in pratica si è proceduto a bocciare tale proposta. In conclusione: la vittoria della ragione sulla propaganda.
Le novità più interessanti, ma per certi versi più preoccupanti, vengono poi dalla trattazione del secondo argomento all'ordine del giorno e cioè i provvedimenti di razionalizzazione delle forze armate aventi comunque l'obbiettivo - così recita il comunicato ufficiale - di mantenere le attuali capacità operative. Proprio a tale riguardo è stata istituita, su iniziativa del ministro della Difesa, una "Commissione di alta consulenza e studio per la ridefinizione complessiva del sistema di difesa e sicurezza nazionale"; tale commissione avrà il compito di rivedere il modello di difesa e l'organizzazione dello stesso dicastero della Difesa. In pratica, si è deciso di non decidere.
In teoria, infatti, l'iniziativa potrebbe pure essere interessante anche alla luce della decisione di aprirla al contributo di altri ministeri in un più ampio ambito multidisciplinare. In realtà, essa lascia aperti non pochi dubbi. Il primo è quello relativo ai tempi; i problemi delle forze armate italiane sono noti oramai da anni così come, tutto sommato, anche i possibili rimedi per mantenerle in qualche modo in vita (perché solo questo appare sempre più come l'unico obiettivo realisticamente perseguibile). Il rischio è quindi quello che i lavori di tale commissione provochino un'ulteriore dilatazione dei tempi di quella che è con tutta evidenza una riforma ineludibile; per essere ancora più chiari, il tempo rimasto a disposizione si misura in termini di settimane, non certo di mesi. Perchè se la situazione già per il 2009 è pesante, quella per i prossimi anni è destinata a diventare addirittura drammatica; avere quindi un progetto credibile e disponibile in tempi rapidi in modo da partire subito con le riforme necessarie è - o almeno dovrebbe essere - l'unica soluzione possibile.
Un altro punto importante, visto che questa commissione c'è e ormai ce la dovremo tenere, riguarderà la sua composizione; capire cioè se i suoi membri proverranno solo dai ministeri coinvolti o se sarà aperta a soggetti esterni che, per le loro conoscenze, potrebbero fornire un apporto significativo. L'auspicio, tanto per essere chiari, è che si possa replicare quanto fatto in Francia con la "commission sur le Livre blanc sur la defense et la sìcuritè nationale" istituita dal presidente Sarkozy nel luglio del 2007 e composta, oltre che da alcuni parlamentari, da funzionari di diversi ministeri e da alti ufficiali delle forze armate, anche da figure provenienti da altri settori. Sarebbe questo un passaggio importante, non fosse altro per il fatto che una tale scelta potrebbe garantire una maggiore trasparenza sulle decisioni che saranno prese.
E questo perché i temi sul tappeto non saranno certo di poco conto: compiti e missioni delle forze armate (per quanto possa apparire incredibile, nel nostro Paese siamo ancora infatti al punto di dover precisare a cosa esse servano), dimensioni, capacità operative e, soprattutto, livello di risorse finanziarie su cui, in concreto, fare affidamento. Se la commissione sarà in grado di fornire delle risposte serie e un progetto credibile in tempi rapidi (il tutto all'insegna della chiarezza), allora ben venga tale commissione. Detto questo, l'esperienza ci insegna che quando si parla di sicurezza e di difesa in Italia, le speranze di arrivare dei risultati seri e concreti sono a dir poco ridotte.
Speranze ulteriormente assottigliatesi proprio negli ultimi tempi dove tra tagli alle risorse a dir poco selvaggi e impieghi "creativi", si è arrivati a evocare l'immagine di militari che, rinchiusi nella loro Fortezza Bastiani, sono a guardia di quel Deserto dei Tartari quale metafora di un nemico inesistente; da qui la conclusione in base alla quale esse sono, in pratica, nullafacenti: ulteriore ed eloquente dimostrazione di un "pensiero debole", di una profondità di pensiero strategico pressoché nulla, dell'incapacità di comprendere le caratteristiche specifiche e peculiari del mondo militare (che ovviamente va al di là degli stereotipi tutti nostrani del "soldato di pace - soldato tuttofare"), di una visione opaca degli interessi del Paese in ambito internazionale e di una concezione approssimativa - per non dire primitiva - delle questioni legate alla Difesa.
Un'ultima considerazione; il fatto che a decidere sul futuro delle forze armate saranno coloro i quali possono essere considerati tra i maggiori responsabili dell'attuale condizione di sfascio materiale e - almeno in parte - morale del nostro strumento militare (si vedano le amare parole del Generale Bertolini), è oggettivamente definibile in un solo modo: inquietante.

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