Il difficile cammino verso un esercito europeo (una analisi sempre attuale) Stampa

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481,4 miliardi di dollari: questa singola cifra, che rappresenta il budget della difesa americana per il 2008, rischierebbe di rendere ridicolo ogni discorso sulla difesa europea. In effetti, sommando i budget dei vari Paesi europei non si arriva neanche al 60% di quei 481,4 miliardi di dollari americani. Sembra quindi inutile e di basso livello pensare alla difesa europea in termini prettamente economici, si cerca piuttosto di comprendere, da un punto di vista storico e strategico, quali siano le ragioni delle problematiche di difesa e sicurezza in Europa e quali siano i limiti delle politiche sinora intraprese.
Con la caduta del muro di Berlino e il susseguente collasso dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia, le necessità e l’impostazione della sicurezza europea sono cambiate. All’improvviso le forze armate europee si sono trovate a dover far fronte a ciò che si auguravano: non essere più sottoposte ad una continua minaccia proveniente da Est. Benché fosse il risultato auspicato da tempo e da tutti, la componente politica europea, che avrebbe dovuto dare l’input ad un cambiamento, si è ritrovata a dover concettualizzare delle politiche che non si aspettava in un così breve periodo.
Con lo sviluppo dei diversi concetti strategici dalla Seconda Guerra Mondiale ad oggi, non ultimo quello della Rivoluzione negli Affari Militari (RMA) negli anni 90′, le forze armate americane sono state sottoposte a processi di modifica che hanno permesso loro di restare al passo con i tempi e con un sistema internazionale in continua evoluzione. Le forze armate europee, sperando sempre nell’aiuto americano, sono rimaste su un’impostazione e una struttura essenzialmente obsoleta e relativamente arretrata, in modo particolare dal punto di vista concettuale, operativo e strategico. Questa differenza da un punto di vista militare è il risultato di una diversa impostazione politica, ma anche economica. Gli eventi del dopo 11 Settembre l’hanno evidenziata drammaticamente.

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1- Radici delle divergenze transatlantiche in materia di difesa :
La RMA non poteva aver inizio in un momento peggiore per gli Stati europei. In effetti, nel momento in cui l’Operazione Desert Storm ebbe inizio gli europei erano interessati ad altro rispetto alle questioni militari. La gestione della sicurezza nel continente europeo, a causa del venir meno del Patto di Varsavia e dell’Unione Sovietica, si complicò poiché, da un giorno all’altro, scomparve la possibilità della conflagrazione di un conflitto convenzionale maggiore tra superpotenze sul continente europeo.
Questa situazione quantomeno inattesa ha portato le organizzazioni militari europee a rilassarsi su quanto acquisito e sviluppato sino ad allora. L’obbiettivo dei responsabili delle politiche di difesa europee diventava quindi unicamente quello di vegliare al mantenimento delle strutture e dell’operatività dei rispettivi potenziali militari. Un tale obbiettivo non ha però permesso di porre fine al declino continuo delle capacità militari europee nel corso degli anni 90 (1).
La differenza nelle capacità militari tra gli Stati Uniti e i membri europei dell’Alleanza Atlantica non è di sicuro un problema nuovo nelle relazioni internazionali e transatlantiche. In effetti, sin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, un tale discorso è stato considerato legato al dilemma del burden sharing in seno all’Alleanza. Gli Stati Uniti, sin dall’inizio dell’alleanza, sottolinearono la necessità di stabilire una migliore ripartizione dei costi e delle risorse tra alleati (2).
Gli sviluppi, militari così come politici, iniziati con il nuovo millennio hanno generato una rottura al livello transatlantico ponendo gli Stati membri della NATO di fronte al problema. Non solo l’Europa spende un terzo della spesa americana nell’ambito della difesa, ma gli acquisti che vengono fatti sono scarsi e rispondono a delle logiche nazionali minimaliste. Delle tali logiche hanno realizzato lo scarto di cui si parla: da una posizione essenzialmente difensiva, gli europei non sono stati in grado di passare ad una logica di adattamento dei propri sistemi in funzione della nuova distribuzione strategica in un’ottica “paneuropea”.
Gli americani, invece, sono riusciti ad adattare le proprie forze realizzando il passaggio mentale necessario per passare da una concezione di proiezione delle proprie forze sul continente europeo in risposta ad un attacco sovietico, allo sviluppo di forze con un alto livello di flessibilità e mobilità, basandosi soprattutto su una dominazione dell’asimmetria assoluta a proprio vantaggio conferita dai mezzi e dalle capacità a disposizione (3).
È possibile sottolineare quindi la differenza in termini di capacità che caratterizza oggi le strategie “genetiche” (4) europee e americana. Ciò che gli americani spendono in Research and Development (R&D) per lo sviluppo di sistemi d’arma di nuova generazione corrisponde circa a quello che gli europei spendono in generale per il mantenimento delle proprie forze armate. Questo rappresenta il nucleo centrale della discussione, in sede europea, della specializzazione nei compiti.
2 – Storia recente :
Un prima risposta politica fu tentata nel 1993 e segna l’inizio di una certa dicotomia in ambito europeo per quanto riguarda la difesa. In effetti, in seguito alla riunione informale dei ministri della difesa NATO a Travemünde (Germania), fu forgiato il concetto di Combined Joint Task Forces. Un tale concetto fu seguito di poco dall’esposizione del concetto di Identità Europea di Sicurezza e Difesa (IESD) (5). Il precedente Trattato di Maastricht del 1992 aveva tra i suoi scopi quello di instaurare una Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) e doveva permettere lo sviluppo di una politica di difesa comune, quindi in seguito una difesa comune. Anche se ciò non avvenne in tutto l’arco degli anni 90′. Gli sforzi europei sono rimasti confinati nell’ambito di uno sviluppo prudente e incrementale della IESD all’interno della NATO, tracciando quindi uno schema che riflette chiaramente l’idea che un’autonomia europea era stata evitata dal mantenimento dello status quo atlantico (6).
Alla fine degli anni 90′ però, il fattore che tende ad accelerare maggiormente lo sviluppo di un progetto politico-strategico europeo è quello americano. In effetti, se gli europei iniziano ad avere una coscienza di difesa e delle ambizioni in questo senso, è essenzialmente è perché hanno realizzato che il ruolo americano in Europa stava venendo meno, dieci anni dopo la fine della Guerra Fredda.
Una prima indicazione di questa presa di coscienza è rappresentato dal tradizionale allontanamento nei confronti dell’UE da parte britannica. Quando arrivò al potere nel 1997, Tony Blair mostrò tutta la sua determinazione a continuare le politiche precedenti: opporsi ad un’autonomia europea nel nome di un mantenimento dell’impegno americano sul continente. A distanza di quasi un anno, però, la posizione britannica iniziò ad evolversi tramite il vertice di Saint Malo tra il Primo Ministro di Sua Maestà e il Presidente Chirac. In effetti, la dichiarazione finale tendeva a riconoscere da tutte e due le parti la necessità che l’Europa doveva avere la “capacity for autonomous action” e essere “able to act militarily from the Alliance [NATO] if need be” (7).
Un tale discorso era un segnale di chiara rottura con l’impostazione precedente, soprattutto da parte britannica. Un tale cambiamento era dovuto alla convinzione da parte britannica che, con l’incremento della crisi in Kossovo e la freddezza americana, l’impegno americano per la stabilità europea sarebbe venuto meno. Allora se l’Europa voleva poter far fronte alle crisi che si sarebbero presentate e tentare di mantenere un certo coinvolgimento americano, gli europei dovevano caricarsi sulle spalle una parte maggiore del “fardello” della difesa europea, quindi diventare un attore politico e militare credibile (8).
Quindi, in ambito europeo, è sicuramente il summit franco-britannico di Saint Malo del Dicembre 1998 a rappresentare il punto di partenza della Politica Estera di Sicurezza e Difesa (PESD) nell’ottica di un processo a lungo termine.
Il passo successivo fu fatto dagli americani in seguito alla guerra in Kossovo. In effetti, vedendo le capacità europee decadere con il tempo, fu presentata da parte americana al Consiglio dei membri dell’Alleanza Atlantica dei 23 e 24 Aprile 1999 la Defense Capabilities Initiative (DCI) destinata a sensibilizzare il mondo della difesa europeo per iniziare una politica di ristrutturazione delle forze europee, ma anche per imporre un certo dinamismo in seno all’Alleanza e quindi tentare di ridurre il gap tecnologico e dottrinale che si era venuto a realizzare (9).
Con un tale sviluppo da parte americano, questa nuova situazione avrebbe potuto portare all’abbandono della PESD. In effetti la difesa europea si era dimostrata con i fatti in Kossovo quasi irrilevante, anzi: avrebbe potuto creare problemi con gli Stati Uniti e rovinare i rapporti transatlantici, per la sua inefficacia, in un momento in cui le garanzie americane erano ancora percepite come necessarie (10) .
I passi successivi, in seguito agli eventi dell’11 Settembre 2001, sono stati evidenziati al momento del Summit dell’Alleanza a Praga nel novembre del 2002, durante il quale fu annunciato il Prague Capabilities Commitment (PCC) che portò alla predisposizione della forza di reazione rapida della NATO (NATO Response Force – NRF). L’allora Segretario Generale della NATO Sir Robertson concluse che si poteva immaginare lo sviluppo della NATO quale una “relation moderne dans laquelle les américains s’occuperont de leur propre sécurité (…) et les européens (…) s’occuperont de la leur, les deux côtés de l’Atlantique conservant néanmoins leur capacité de s’en occuper ensemble” (11).
Da parte sua, l’UE ha iniziato con la presidenza spagnola nel febbraio 2002 un processo continuativo degli sforzi fatti in materia militare conseguenti alla creazione del Comitato Militare e di alcuni altri organismi militari europei che dovevano servire da incremento della capacità militare prettamente europea. Il primo risultato tangibile di una tale spinta dinamica è rappresentato dalla presentazione del progetto di istituzione della European Rapid Reaction Force (ERRF).
Paradossalmente, la politica di difesa europea è diventata in parte operativa proprio nel 2003 e il progetto sembra aver subito una sua piccola evoluzione. Le ragioni di un tale paradosso sono chiare: le divergenze con gli USA non si basano tanto sul futuro della presenza americana in Europa e sul suo ruolo per la preservazione della stabilità del continente europeo, ma piuttosto sul fatto che la politica americana in Iraq ha confermato la tendenza americana a ritirarsi dall’Europa, quindi la necessità di uno sforzo europeo per colmare questo distacco (12).
A dimostrazione di quanto appena affermato, l’UE ha lanciato nel dicembre 2004 una missione nell’ambito dell’accordo “Berlin Plus”: l’Operazione Althea in Bosnia Herzegovina con la forza EUFOR, a guida UE, in sostituzione della SFOR, a guida NATO (13). Sempre nel 2003 ha inizio l’Operazione Artemis nella Repubblica Democratica del Congo (RDC). Questa è la prima, vera, missione autonoma legata alla PESD al di fuori dell’ambito “Berlin Plus” e la prima operazione non europea in termini prettamente geografici.
Gli sviluppi successivi, in modo particolare la decisione di creare dei battle groups per i conflitti ad alta intensità e la volontà di adottare dei nuovi e qualitativi obbiettivi in termini di capacità operative (gli Headline Goals 2010), hanno confermato la volontà di portare avanti una PESD che faccia meno riferimento alle istituzioni dell’Unione Europea, ma che comprenda maggiormente gli sforzi fatti dalle singole nazioni all’interno di coalizioni costituite prettamente dai paesi membri.
Quindi, benché gli Stati Uniti siano destinati a rimanere ancora per qualche anno in Europa, e in modo particolare ai suoi confini orientali, la nuova politica americana in Europa prefigura la partenza dal continente europeo, come è stato confermato nell’ultimo decennio. Poiché una parte degli europei almeno dovrebbe aver inteso questo distacco, il tradizionale dilemma europeo (ovvero: come anticipare la partenza americana senza precipitare i tempi) sembra destinato ad appartenere al passato entro poco tempo (14).
3- Considerazioni conclusive:
Da un punto di vista più tecnico esiste un gap operativo tra europei e americani. Si tratta in modo particolare della mancanza di una propria autonomia per il trasporto, di un ritardo rispetto alla copertura satellitare, della mancanza di progetti innovativi validi in molti settori dei sistemi d’arma e, ciò che sembra essere più importante, sono state capite solo in parte le modifiche del sistema internazionale, non è avvenuta un’innovazione soprattutto dal punto di vista della dottrina per quanto riguarda la risposta da opporre alle nuove, così come alle vecchie, minacce. Da queste difficoltà che sono già state incontrate dai paesi europei in ambito operativo si possono però evincere alcuni punti che potrebbero essere intesi positivamente.
In primo luogo, si spera che prima o poi i politici europei si rendano conto delle difficoltà incontrate dai loro militari in ambito operativo. Questo porterà sicuramente gli europei ha sviluppare le proprie forze armate e a comprendere la necessità di una politica di difesa (comune?) reale e realistica, incrementando la debole politica attuale che rappresenta un punto di partenza sicuro. Questo non può non passare tramite l’attivazione vera e propria di un Ministro degli Esteri (il “Mister PESC” che già esiste, o meglio: che sopravvive come può) e un corrispettivo Ministro della Difesa europeo.
Da un’altra parte, gli europei potrebbero essere chiamati a intraprendere una specializzazione dei compiti. Da un punto di vista qualitativo, in effetti, le forze europee hanno poco da invidiare agli americani. Questi ultimi potrebbero quindi chiedere agli alleati di fornire solo alcuni tipi di forze in gran numero, portando quindi a termine una sorta di specializzazione. Ad esempio gli americani potrebbero chiedere reparti corazzati agli inglesi e ai tedeschi, fanteria e organizzazione ai francesi, carabinieri e ordine pubblico agli italiani, forze speciali ai polacchi, e via dicendo. Il rischio però di una tale prospettiva è che sia lasciato agli europei essenzialmente il compito più pericoloso rappresentato dalle operazioni di occupazione del territorio, ovvero la missione che potrebbe portare al maggior numero di perdite. Si avrà una risposta ad un tale dilemma nel futuro, in base a quanto sarà deciso da un punto di vista politico in Europa (15).
Il problema rimane, appunto, di natura essenzialmente politica. Negli ultimi anni si è notato il rafforzamento della coesione dal punto di vista della strategia europea sulla scena mondiale, un processo che molto probabilmente tenderà a svilupparsi nel futuro. Gli europei rimangono però straziati tra una posizione maggiormente autonomista nei confronti degli Stati Uniti e una posizione che si basa ancora sulla dipendenza nei confronti degli Stati Uniti in materia di sicurezza.
Alcuni Stati europei (in modo particolare i nuovi arrivati in seno all’UE) vedono la protezione americana come un fattore necessario a causa della recrudescenza o persistenza delle minacce che derivano dalla Guerra Fredda (ad esempio: la Russia). Gli altri (Gran Bretagna, Germania, Italia e in parte anche la Francia) vedono la collaborazione e l’aiuto degli USA come necessari nel momento in cui bisogna far fronte a pericoli sorti dopo l’11 Settembre.
Di sicuro, gli europei risolveranno il loro “global dilemma” (16) quando la loro relazione con gli Stati Uniti non sarà più dettata dalla necessità di basarsi sugli Stati Uniti stessi per quanto riguarda la protezione rispetto alle varie minacce.

Note:
[1] Alain de Neve e Raphaël Mathieu, La Défense Européenne et la RMA : Convergences possibles ou Disparités ineluctables, in Sécurité et Stratégie, n. 84/Aprile 2004, Centre D’Etudes de Défense, Institut Royal Supérieur de Défense, Bruxelles, 2004, p. 106.

[2] Alan Tonaleson, NATO Burden Sharing: Promises, Promises, in NATO enters the Twenty-First Century, a cura di T.G Carpenter, Frank Cass, London-Portland, 2001.

[3] Alain de Neve, Spécialisations des taches: une Révolution pour l’Europe?, in Sécurité et Stratégie, n.79/ Ottobre 2003, Centre D’Etudes de Défense, Institut Royal Supérieur de Défense, Bruxelles, 2003.
[4] Per un’analisi più precisa del termine di strategie genetiche si veda Hervé Couteau Bégarie, La Guerre totale dans la généalogie de la stratégie. Orientations de recherche, in La Guerre totale, a cura di François Géré e Thierry Widemann, Fondation pour la Recherche Stratégie (FRS) e Institut de Stratégie Comparée (ISC), Collection “Bibliothèque Stratégique”, Paris, 2002.
[5] Manuel de l’OTAN, Déclaration du Sommet de Bruxelles, 11 Janiver 1994.
[6] Frédéric Bozo, Developments in Europe: What role do the Europeans see for the United States? The U.S. changing role and Europe’s transatlantic dilemmas, Nobel Symposium: The United States and Europe Cooperation and Conflict: Past, Present and Future, Giugno 2007, p. 8
[7] Joint Declaration, British-French Summit, Saint-Malo, December 3-4, 1998, in From Saint-Malo to Nice. European Defence: Core Documents, WEUISS, Paris, 2000.
[8] Alle origini della svolta britannica di Saint-Malo si legga: Jolyon Howorth, European integration and defence: the ultimate challenge?, Chaillot paper N°43, WEUISS, Paris, 2000, e The Euro-Atlantic security dilemma: France, Britain, and the ESDP, Journal of Transatlantic Studies, n.3/2005.
[9] Alain de Neve e Raphaël Mathieu, La Défense Européenne et la RMA : Convergences possibles ou Disparités ineluctables, p. 127.
[10] Frédéric Bozo, Developments in Europe: What role do the Europeans see for the United States? The U.S. changing role and Europe’s transatlantic dilemmas, p. 11
[11] Sir Georges Robertson in Nouvelles Atlantiques, n. 3433, Bruxelles, 22 Novembre 2002.
[12] Frédéric Bozo, Developments in Europe: What role do the Europeans see for the United States? The U.S. changing role and Europe’s transatlantic dilemmas, p. 12.
[13] Per maggiori precisioni si legga: Giovanni Grevi, Dov Lynch e Antonio Missiroli, ESDP operations, EUISS, http://www.iss-eu.org/esdp/09-dvl-am.pdf.
[14] Jolyon Howorth, European integration and defence: the ultimate challenge?, Chaillot paper N°43, WEUISS, Paris, 2000.
[15] Andrea Locatelli, La Rivoluzione negli Affari Militari e le Relazioni Transatlantiche, in Esiste ancora una comunità transatlantica? Europa e Stati Uniti tra crisi e distensione, a cura di Vittorio E. Parsi, Seran Giusti e Andrea Locatelli, Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali (ASERI), Edizioni Vita e pensiero, Milano, 2006, p. 182-3.
[16] Frédéric Bozo, Developments in Europe: What role do the Europeans see for the United States? The U.S. changing role and Europe’s transatlantic dilemmas, p. 21

di Eric Molle da AttualitÃ