La vicenda Finmeccanica Stampa

 

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La vicenda delle presunte tangenti da 51 milioni di dollari pagate da AgustaWestland per la vendita di 12 elicotteri AW101 all’Aeronautica indiana è davvero una brutta tegola in testa per la controllante Finmeccanica. Nuova Delhi, infatti, che ha già ricevuto tre delle 12 macchine e ha saldato circa il 40% del conto totale di 556 milioni di euro (compreso il supporto logistico per cinque anni e l’addestramento iniziale dei piloti), ha avviato le procedure per la risoluzione del contratto e ha recapitato a Finmeccanica un lettera in cui chiede all’azienda di fornire entro sette giorni le eventuali giustificazioni a fronte delle quali, a suo parere, l’accordo non dovrebbe essere cancellato. Una mossa che ha provocato, il 15 febbraio, le dimissioni da ogni incarico del presidente e consigliere d’amministrazione di Finmeccanica, Giuseppe Orsi. Il sito ufficiale della Bhāratīya Vāyu Senā (Forza Aerea Indiana), nella sezione dove vengono descritti i vari materiali in dotazione, non riporta alcuna immagine né altri riferimenti relativi al nuovissimo elicottero.

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Il 26 ottobre 2012, cioè parecchi mesi dopo l’avvio dell’inchiesta della magistratura italiana e delle autorità di Nuova Delhi sulla fornitura degli AW101, il ministero della Difesa indiano rilascia la seguente dichiarazione: «È stato chiesto al governo italiano di fornire dettagli sull’eventuale esistenza di individui o entità societarie che abbiano svolto il ruolo di intermediari nella fornitura degli elicotteri AW101, nonché il nome e i documenti relativi al presunto coinvolgimento di un brigadiere nella procedura in corso per l’acquisizione di 197 elicotteri commerciali leggeri per l’Esercito indiano. Il ministero della Difesa agirà con decisione contro gli autori di eventuali reati identificati durante le indagini». Il “brigadiere” di cui parla il documento (un grado che nelle Forze Armate indiane è intermedio tra il colonnello e il maggiore generale) non è certamente il 68enne maresciallo dell’Arma Aerea Shashindra Pal Tyagi, oggi in pensione, ex-capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica indiana e pilota veterano del conflitto indo-pakistano del 1971, coinvolto nello scandalo dell’AW101. La vicenda che ruota intorno all’alto ufficiale va raccontata nei dettagli noti, se non altro per comprendere i complessi e spregiudicati retroscena che possono celarsi dietro il procurement militare internazionale degli armamenti.

Secondo gli investigatori, gli emissari di Finmeccanica (gli svizzeri Guido Ralph Haschke e Christian Michel, e l’italiano Carlo Gerosa, il primo e il terzo soci nella società Aeromatrix) hanno tentato in più di un’occasione, coinvolgendo anche qualcuna delle rispettive compagne, di avvicinare i cugini di Tyagi (Sanjeev, un uomo d’affari ed ex-pilota dell’Aeronautica indiana detto anche “Julie”, Dosca e Sandeep), della cui esistenza Haschke era al corrente, allo scopo di agganciare l’alto ufficiale. Secondo le dichiarazioni rese ai magistrati da Haschke, il colpo sarebbe riuscito nel 2011 proprio a Carlo Gerosa che, in occasione della propria festa di matrimonio, a Lugano, avrebbe avvicinato Sanjeev-Julie, che evidentemente era tra gli invitati. L’incontro sarebbe avvenuto poco tempo dopo che l’Aeronautica indiana, nel gennaio 2001, aveva rese note le sue intenzioni di acquistare 12 elicotteri da trasporto secondo il programma denominato VVIP.

Stabilito il contatto con l’ufficiale, attraverso i suoi intermediari Finmeccanica avrebbe poi “ringraziato” i parenti di Tyagi per il contatto positivo. La “mancia”: una somma equivalente a circa 100mila euro, versata in contanti a Sanjeev-Julie, che però agiva in accordo con gli altri membri della famiglia. Uno degli intermediari ha dichiarato di essersi poi incontrato con il generale Tyagi almeno 6/7 volte, tra il 2005 e il 2007, negli uffici di uno dei cugini e anche al Salone Aeronautico di Bangalore dove l’ufficiale, ancora al vertice della Forza Armata, era intervenuto in divisa. Ciò contraddice le parole dello stesso Tyagi, che invece ha dichiarato, oltre al fatto di non aver incassato alcuna tangente, di essersi incontrato con un intermediario Finmeccanica una sola volta, a casa di un suo parente, e solo dopo aver lasciato il servizio attivo.

Per quale motivo Finmeccanica avrebbe avuto bisogno di corrompere l’alto ufficiale Tyagi per piazzare un elicottero come l’AW101, che esibisce il diploma di “combat proven” e che sul mercato vanta oltretutto un’ottima immagine e clienti prestigiosi? Secondo gli inquirenti, la necessità sarebbe nata dal fatto che la macchina non rispettava i requisiti di tangenza massima richiesti dall’India, un aspetto che per un velivolo ad ala rotante è ancora più critico rispetto a uno ad ala fissa. In parole semplici, l’AW101 può volare fino a una quota massima di 15mila piedi, cioè 4.572 m, ma oltre quel limite le sue tre turbine (quelle certificate sono la General Electric T700/T6A da 1.725 kW ciascuna oppure la Rolls Royce-Turbomeca RTM 322 da 1.693 kW) non sono sufficienti a consentire il volo con i margini di sicurezza necessari. Superata la quota massima, il velivolo perde l’equilibrio propulsivo ossia, a causa della progressiva rarefazione dell’aria che passa attraverso il rotore principale e quello posteriore anticoppia, non riesce più a sostentarsi nel volo a punto fisso e ha difficoltà anche in quello traslato. Quindi, per operare ad altitudini più elevate, l’AW101 dovrebbe adottare propulsori più prestanti e forse anche rotori diversi, con pale più estese per muovere più aria.

L’Aeronautica di Nuova Delhi, impegnata a Nord nel confronto con il Pakistan per il controllo della regione montuosa del Kashmir e a Nordest nelle zone himalayane confinanti con il Nepal, ha assoluto bisogno di una macchina che voli fino a una quota di 18mila piedi, 5.486 m. Addolcito dunque il requisito della tangenza massima nel capitolato grazie all’intervento di Tyagi, l’AW101 (che, è bene chiarirlo, è un eccellente velivolo, per nulla inferiore ai concorrenti e anzi, migliore sotto molti aspetti) avrebbe avuto ottime possibilità di vincere la gara, cosa che è poi avvenuta. Purtroppo, però, si ipotizza che la vittoria sia arrivata proprio grazie al fatto che Tyagi ha addomesticato le specifiche in cambio di un compenso di almeno 21 milioni di euro, senza contarne ulteriori 30 spesi forse per altre rate o per ulteriori attività di intermediazione. Il tutto camuffato da pagamenti per lavori di ingegnerizzazione di altri modelli di elicotteri AgustaWestland a favore di due società d’informatica, IDS India e IDS Tunisia.

Ovviamente, se la ricostruzione dei fatti è esatta, l’AW 101 è entrato in servizio in India con sensibili limitazioni operative in termini di quota massima, cioè gli manca circa un migliaio di metri rispetto a quanto l’Aeronautica in origine desiderava. A termine di confronto, i vecchi e assai più piccoli elicotteri Aerospatiale SA 315B Lama e SA316, prodotti localmente su licenza dalla HAL per l’Esercito e l’Aeronautica (in India sono noti rispettivamente come Cheetah e Cheetak), hanno entrambi una tangenza massima di circa 5.400 metri anche se non rappresentano certo l’ultimo grido in fatto di tecnologia: infatti sono in servizio da 40 anni.

Gli ultimi sviluppi della situazione, così come li abbiamo esposti, mettono ovviamente in pessima luce la società e, soprattutto, ne gettano una alquanto malevola e assai dannosa sul modo in cui Finmeccanica ha condotto i suoi affari in India. Da qui alle generalizzazioni, e cioè che la società faccia altrettanto in tutto il mondo, il passo è breve e nefasto. Le generalizzazioni sono sempre sbagliate, ma non si può non ricordare l’”affaire” di Finmeccanica che coinvolse nel 1988 il ministro dell’Economia belga Willy Claes, al cui partito l’azienda consegnò milioni di dollari di bustarelle per la vendita di 46 elicotteri A109.  

Quel che è certo è che proprio nel grande Paese asiatico, che ha intrapreso un massiccio piano di potenziamento del suo strumento militare, AgustaWestland compete per accaparrarsi nuove e ricche commesse. Per esempio, con il modello AW109 LUH, quella relativa al programma NUH (Naval Utility Helicopter) per 56 macchine leggere bimotore (valore: un miliardo di dollari). L’azienda, come si può comprendere dalla citata dichiarazione indiana del 26 ottobre 2012, aveva anche una chance per aggiudicarsi un altro contratto, quello relativo alle 197 macchine del programma RSH (Reconnaissance and Surveillance Helicopter) con il quale le Forze Armate indiane vogliono sostituire i già ricordati e vetusti Cheetah e Chetak: 133 esemplari del modello vincitore dovrebbero andare all’Esercito e 64 all’Aeronautica.

Il tormentato programma RSH, per il quale le autorità indiane sospettano il coinvolgimento del misterioso “brigadiere” complice di Finmeccanica, ha preso il via 10 anni fa con il nome di LUH (Light Utility Helicopter), ma è stato annullato nel 2007, quando si profilava la vittoria del franco-tedesco Eurocopter AS550 C3 Fennec sull’americano Bell 407. L’anno dopo venne emesso il nuovo requisito RSH e la gara, del valore di circa un miliardo di dollari, è ancora aperta, con l’avversario del favorito Fennec che questa volta è il russo Kamov Ka-226T. AgustaWestland è formalmente ancora in gara con il suo candidato, l’AW119, riguardo al quale proprio Giuseppe Orsi aveva firmato, nel febbraio 2009, un accordo con il magnate indiano Ratan Tata per la produzione locale in uno stabilimento nello Stato dell’Uttar Pradesh.

Tuttavia, il programma RSH, molto importante per l’India in quanto le vecchissime macchine Aerospatiale stanno registrando un preoccupante numero di incidenti (11 crash dal 2006, con la morte di nove piloti), rischia di naufragare per la seconda volta proprio per colpa dello scandalo dell’AW101, anche se altri analisti avanzano l’ipotesi che il programma sia in realtà viziato da troppi ripensamenti sulle caratteristiche che stanno rendendo difficile congelare una configurazione definitiva. In ogni caso, dopo aver sentito odore di tangenti nella fornitura dell’AW101, il governo indiano ha prudentemente congelato anche l’RSH per il timore di sviluppi simili a quelli che oggi sono venuti a galla. L’idea era quella di aspettare l’esito dell’inchiesta sull’AW101, e fin da subito erano circolate voci secondo le quali, se gli episodi di corruzione fossero stati confermati, anche il programma RSH sarebbe stato annullato. A questo punto, quest’ultima evenienza si fa sempre più probabile e se si concretizzerà, oltre all’annullamento dell’RSH e alla successiva apertura di un terzo programma, provocherà l’inserimento di Finmeccanica nella “black list” dei fornitori con i quali l’India non intende aver più nulla a che fare. Quindi, addio Eldorado indiano per Finmeccanica, che tramite le controllate Selex SE, Selex Galileo e OTO Melara è anche impegnata, rispettivamente, nella fornitura di apparati radar per la nuova portaerei indiana Vikrant, nella realizzazione di un centro per la manutenzione e la riparazione dei sistemi avionici e nella competizione per la fornitura dell’ottimo cannone navale 127/62 con munizionamento Vulcano per una nuova classe di fregate, senza contare altri programmi minori.

Può sembrare un collegamento ardito o addirittura del tutto immotivato, ma la vicenda indiana, per motivi che saranno chiari più avanti, rischia di creare a Finmeccanica parecchi grattacapi anche negli Stati Uniti, dove l’azienda italiana ha molta carne al fuoco. La bistecca più appetitosa (ma ce ne sono molte altre) è quella della mega-commessa per il nuovo addestratore dell’Air Force destinato a sostituire il glorioso Northrop T-38 Talon, che la controllata Alenia Aermacchi vorrebbe vincere con l’M346 Master già scelto anche da Israele e Singapore, cioè quello che molti giudicano un vero gioiello, se non il miglior trainer al mondo.

Il quantitativo iniziale da fornire potrebbe aggirarsi intorno ai 350 velivoli, ma l’intera flotta di T-38 da sostituire supera i 1.000 esemplari. Dunque, si tratta di un affare gigantesco, ma per portarlo a casa (si fa per dire, in quanto gli aerei verrebbero quasi certamente assemblati localmente dal partner General Dynamics), l’azienda dovrà sconfiggere la concorrenza del britannico Hawk T2, proposto da British Aerospace alleata con Northrop Grumman, e del coreano T 50 Golden Eagle della KAI in collaborazione con Lockheed Martin. La competizione sarà durissima, come tutte quelle in cui sono coinvolte anche aziende non americane.

Il “buy american”, infatti, è un leit motiv dalla potenza formidabile nei riti del procurement militare a stelle e strisce, dove le lobbies che lo propugnano a oltranza non risparmiano né colpi bassi, né argomenti scivolosissimi, pur di portare a casa il risultato. Non può sfuggire, peraltro, che quando l’industria americana non dispone di ciò che serve alla Forze Armate, la porta per gli stranieri è aperta, ma quasi sempre con il coinvolgimento significativo delle grandi corporation americane delle armi come partner, di solito produttivi: “buy american, job american”. Ma anche quando il successo per le aziende italiane, che in molte cose non sono seconde a nessuno, arriva (e non di rado arriva, eccome), non è detto che le cose poi filino lisce. Ne sa qualcosa la stessa Finmeccanica, che dopo aver vinto nel 2005 il prestigioso contratto per la fornitura di 28 elicotteri della flotta presidenziale sbaragliando l’assai inferiore Sikorski S 92 proprio con una versione ad hoc dell’AW101 (battezzata VH-71 Kestrel e offerta in team con Lockeed Martin), si vide annullare il contratto nel 2009, a forniture già iniziate. La rinuncia costò al contribuente americano fortissime penali contrattuali, ed è singolare notare che il motivo ufficiale della cancellazione verteva principalmente sui costi pazzeschi del programma, salito effettivamente fino all’astronomica somma di 13 miliardi di dollari non tanto per richieste immotivate di AgustaWestland, quanto per l’interminabile serie di modifiche extra-contrattuali pretese dagli americani, quasi tutte implementate per garantire un trasporto in condizioni di sicurezza quasi maniacali al primo cittadino americano e alla sua famiglia.

Tra l’altro, una delle caratteristiche che favorì la vittoria dell’AW101 sul concorrente Sikorski fu proprio la sua formula tri-turbina, ritenuta giustamente più sicura e a prova di avarie rispetto a quella bi-turbina dell’antagonista. Dopo il naufragio del Kestrel, più di uno studio dimostrò che il rinnovamento della flotta dei vecchi elicotteri presidenziali (11 Sikorski VH-3D e 8 Sikorski VH-60N) sarebbe costata alla lunga più del proseguimento del programma VH-71. Nell’aprile 2010, l’ex-alleato di Finmeccanica, Lockheed Martin, ha annunciato la sua alleanza con Sikorski nella competizione per l’elicottero presidenziale, a questo punto improcrastinabile, in base al nuovo programma VXX.

Oggetto dell’offerta congiunta sarà... ancora il Sikorski S 92, perché di meglio Sikorski non ha. E così è divenuto finalmente chiaro, ma a costo di uno spreco enorme di tempo e di denaro pubblico, che probabilmente l’unica vera colpa dell’AW101 è stata quella di aver osato sbarrare la strada a una Sikorski che in tema di elicotteri è tradizionale fornitrice dell’inquilino della Casa Bianca fin dal 1957. La vittoria italiana in una competizione di tale valore simbolico non poteva in alcun modo essere digerita e ciò dimostra fino a che punto può arrivare la pervicacia e il potere di condizionamento delle lobbies che negli Usa operano alle spalle dell’industria degli armamenti all’insegna del “buy american”.

Nel giugno 2011, i nove Kestrel già consegnati sono stati ceduti per appena 164 milioni di dollari al Canada, che ha in servizio felicemente l’AW101 con il nome di CH-149 Cormorant e che li utilizzerà come fonte di pezzi di ricambio. Tuttavia, e qui si sfiora il ridicolo, anche Finmeccanica, alleata ora con Northrop Grumman, è oggi in lizza per il programma VXX. Naturalmente, il suo candidato è... l’AW101, che aveva già vinto nel 2005 e chissà se vincerà domani.

Un’altro episodio illuminante riguarda il bimotore da trasporto tattico C27J Spartan di Alenia Aermacchi (altra divisione di Finmeccanica), ordinato dall’USAF in 24 esemplari e dall’US Army in 54 in base a un programma congiunto del 2007. Tuttavia, sull’aereo italiano (costruito in Italia da un team che vede il gruppo americano L-3 agire come capocommessa e la partecipazione di Alenia USA e di Boeing per l’integrazione di avionica e motori) s’è presto abbattuta la scure dei tagli al bilancio della Difesa 2013 voluti dal presidente Barack Obama. Il programma avrebbe potuto arrivare a 200 unità, compreso un numero imprecisato di aerei in un una speciale versione “cannoniera volante”, un ruolo in cui l’USAF ritiene lo Spartan assai più adatto del Lockheed Martin C130 “Gunship” oggi in servzio.

Niente da fare: l’aereo s’è fermato al decimo esemplare. Il sottocapo di Stato Maggiore dell’USAF, generale Christopher Miller, ha giustificato così la sua fine: «Non è perché non sia un buon aereo, e non è perché non sia stata una buona idea acquistarlo 487 miliardi di dollari fa (i tagli decennali al bilancio-ndr). Semplicemente, faremo un uso più disciplinato dei dollari destinati alla Difesa. E dal punto di vista finanziario e programmatico, se un intero sistema d’arma, il suo sostegno logistico e le infrastrutture necessarie al suo impiego possono essere eliminati senza danneggiare le capacità operative, i benefici ci sono». Le dichiarazioni dell’ufficiale sorprendono, poiché l’altro trasporto aero-tattico in dotazione alle forze americane, il quadrimotore Lockheed Martin C130J (più grande e con maggior carico), non può nemmeno avvicinarsi alle prestazioni dello Spartan in termini di manovrabilità, capacità di decollo corto (l’italiano a pieno carico si alza in 580 metri, l’americano in 950) e possibilità di operare da piste semi-preparate. Cioè, esattamente le stesse prestazioni che a suo tempo avevano portato alla sua adozione per l’impiego in teatri “difficili” come l’Afghanistan e altri. Teatri che l’USAF e l’US Army non possono certo escludere a priori dai futuri scenari operativi.

Intanto, procede spedito il programma di rinnovamento AMP (Avionics Modernization Program) per 198 esemplari del C130 al costo (solo per aggiornare l’avionica e praticamente null’altro) di 14 milioni di dollari per aereo. Il contratto per l’acquisto degli ultimi 8 Spartan valeva 319 milioni di dollari, circa 40 milioni al pezzo. Con avionica già allo stato dell’arte.

Quelli appena citati sono solo due tra i numerosi esempi che dimostrano quanto dura sia la vita della nostra industria bellica al di là dell’Atlantico. Ce ne sono molti altri, sia in campo navale, sia terrestre, senza contare il fatto che le due più famose fabbriche d’armi da fuoco yankee, Colt Firearms e Smith&Wesson, talvolta fanno nascere il sospetto (soprattutto la prima) di non aver ancora digerito del tutto il boccone (amarissimo) di aver perso già dal 1984 i favori delle Forze Armate nazionali in fatto di pistole automatiche. Da quella data, infatti, la nostra Beretta M9 ha sostituito la Colt 1911 al fianco dei militari americani e in ogni gara successiva ha fatto e fa piazza pulita di ogni concorrente. Tuttavia, non senza doversi poi difendere da qualche perfidia che punterebbe volentieri a riaprire le gare mettendo in dubbio i risultati dei test. La vicenda indiana di Finmeccanica non aiuterà certo l’azienda ovunque sia presente, ma soprattutto negli Stati Uniti, dove le tecniche per mettere fuori gioco i concorrenti (in particolare quelli che sanno fare anche meglio degli americani) ormai non sono più solo una scienza, ma una vera arte. E forse quello che manca a Finmeccanica è avere alle spalle un paese forte che la protegga nel senso che si sappia far rispettare, come hanno le aziende francesi o tedesche. 

Tuttavia, a prescindere da tutto il clamore più che giustificato nato in questi giorni intorno al malaffare che sembra contraddistinguere molte attività della nostra maggiore industria d’armamenti, s’impone una constatazione: nel settore del procurement militare, intermediari, faccendieri e tangentisti abbondano come i giovanotti al ballo delle debuttanti. Gli esempi che riguardano altre grandi industrie della difesa non mancano, dalle mega-ricompense pagate dalla tedesca Ferrostaaal per la vendita di sottomarini tipo 209 e 214 al Portogallo e alla Grecia al famoso contratto Al Yamamah per la fornitura dei caccia Tornado (e altro) all’Arabia Saudita, con cospicui versamente che sembrano finiti nelle casse dei reali sauditi. E i casi dell’omicidio dell’interprete mongola Altantuya Shaariibuu nella vicenda dei due sottomarini Scorpène franco-spagnoli venduti alla Malesia e di quello del capitano di vascello Yin Ching-feng, assassinato (pare) quando era pronto a vuotare il sacco sulle tangenti per la vendita di sei fregate francesi tipo Lafayette alla Marina di Taiwan dimostrano che talvolta, intorno a questi mega.contratti, oltre all’odor di mazzette si sente anche quello di cadavere.

Certo, la magistratura deve fare il suo lavoro, e come abbiamo visto lo fa, in Italia e anche all’estero. Ma stracciarsi le vesti e gridare allo scandalo quando è risaputo che il mondo del procurement militare è marcio dall’interno non serve poi a molto, se non a far nascere l’idea che distruggere aziende d’importanza vitale per l’industria della difesa non dopotutto un gran danno. Servono invece dosi da cavallo di pragmatismo e di realismo, un controllo strettissimo da parte dei governi (anche quelli dei Paesi acquirenti, e non solo di quelli venditori) e, magari, sarebbe bello ma quasi impossibile in un settore dove il segreto è così legato al business, anche una bella agenzia multinazionale che si occupi di vigilare sui contratti per accertare che fiumi di denaro non vadano a finire dove non dovrebbero.

di Riccardo Celi da Linkiesta