Due militari britannici obiettori di coscienza Stampa

Due militari britannici si sono rifiutati di combattere in Irak.

Hanno disobbedito agli ordini dicendo di non voler partecipare ad un conflitto che avrebbe comportato la morte di civili innocenti.

Ce ne da notizia il Corriere della Sera del 31 marzo 2003 che riprende un articolo del Sunday Times.

I due militari sono rispettivamente un soldato semplice e un tecnico della sedicesima Brigata d assalto aviotrasportata.

La loro dichiarazione di obiezione di coscienza risale all inizio di marzo, prima ancora che scattasse l attacco e iniziasse l attuale carneficina.

, ha detto Justin Hugheston-Roberts, presidente di che si occupa dei militari e delle loro famiglie.

L ex ministro Robin Cook - dimessosi dal governo britannico per via dell intervento in Irak - ha affermato: .

I due obiettori di coscienza britannici sono già tornati in patria e sono nella caserma di Colchester nell Essex.

Rischiano due anni di prigione ma potrebbero invocare la legislazione europea sui diritti umani e il caso potrebbe diventare un precedente importante oltre che una questione internazionale.

Il diritto della coscienza di obiettare non può essere infatti ristretto solo al caso classico del rifiuto totale dell uso delle armi.

Rifiutarsi di uccidere civili inermi è una ragione sufficiente per esercitare l obiezione di coscienza: questo è il nodo su cui la difesa dei militari affronterà il processo.

Il diritto di fedeltà alla propria coscienza su questioni così profonde, deve prevalere sul diritto dello Stato di richiedere l obbedienza e di imporre la violenza delle armi e della morte.

L obiezione di coscienza dei due militari britannici può aprire - come è avvenuto per i israeliani obiettori alla guerra nei territori palestinesi - un nuovo fronte di impegno per la pace.

Le bandiere arcobaleno possono entrare nelle caserme.

Nessuno conosce l orrore della guerra come i militari che in questo momento combattono, uccidono e muoiono per i sogni di vittoria di Bush e Blair.

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Militari americani e inglesi obiettori di coscienza
[Dal quotidiano <Il manifesto> del 2 aprile 2003]

Di alcuni non si conoscono neppure i nomi.

Si sa invece che Stephen Fank, marine di stanza in California, è il primo soldato americano a rifiutarsi di combattere in Iraq.

Verrà processato in questi giorni: <E una guerra immorale e ingiusta>, ha dichiarato ad un giornale della sua città.

Dei due giovani militari di stanza nella caserma della sedicesima brigata d assalto aerea a Colchester, in Essex, Gran Bretagna, invece non sono stati fatti i nomi.

Sappiamo che si trovano in caserma in questo momento. Sono tornati da dove erano partiti a febbraio.

Il viaggio che avevano affrontato allora li aveva portati nel Golfo, in Kuwait. Il ritorno è stato più rapido del previsto.

I due giovani militari infatti hanno deciso che non avrebbero combattuto la guerra che i loro superiori gli stavano raccontando.

Una decisione difficile, resa ancora più complessa dalla natura dei rapporti e dalla struttura gerarchica dell esercito.

Rapporti in cui sono le regole e la disciplina a vincere e in cui la solitudine è spesso la condizione più frequente.

Dove a disobbedire si paga un prezzo altissimo.

Dove la solidarietà (intesa come comprensione dei dubbi e delle paure) è spesso considerata sinonimo di debolezza e quindi estranea all immagine di forza che deve essere proiettata all esterno.

In questo contesto è maturata la decisione dei due militari, che sappiamo essere un tecnico aeronautico e un soldato semplice.

La sedicesima brigata d assalto è un unità di prima linea e dall inizio della guerra è impegnata in pesanti combattimenti nel sud dell Iraq.

La notizia del rimpatrio dei due soldati obiettori è stata tenuta segreta per settimane e, quando finalmente è riuscita a sfondare le maglie fittissime degli ambienti militari, è stata liquidata dal ministero della difesa come <un caso di rientro> per motivi non meglio identificati.

Del resto il governo new Labour è attentissimo a non lasciar trapelare il minimo segnale di disagio tra le forze armate. Sforzi che non gli stanno riuscendo molto bene.

Le dichiarazioni rese alla stampa dai giovani militari scampati miracolosamente al <fuoco amico> statunitense hanno creato non pochi imbarazzi sia all establishment militare che a quello politico.

<Un cowboy senza scrupoli e senza il minimo rispetto per la vita umana>, è stato definito il pilota Usa che ha sparato sul convoglio di tank britannici uccidendo un militare e ferendone diversi altri.

A gettare benzina sul fuoco ci si è messo poi l ex ministro degli esteri Robin Cook che ha lasciato il governo e domenica scorsa ha chiesto a Blair di ritirare i soldati prima che sia troppo tardi.

Dichiarazioni che l ex ministro ha poi cercato di mitigare, ma il cui effetto è stato <dinamite pura>, come suggerisce l avvocato dei due militari rispediti nell Essex, Gilbert Blades.

Delle biografie dei due giovani refuseniks che difende non dice molto <perché per il momento è meglio così>.

Racconta però che i due, una volta nel Golfo, hanno espresso seri dubbi sulla legittimità di una guerra che non ha avuto il sostegno delle Nazioni Unite.

Hanno detto di non voler partecipare ad operazioni che chiaramente avrebbero provocato la morte di civili e hanno espresso riserve sulla moralità stessa di questo conflitto.

<Non appena hanno esposto questi loro dubbi - ci dice l avvocato Blades - i due sono stati riportati in Gran Bretagna. E evidente che il ministero della difesa vuole sopprimere questo genere di commenti e scelte per impedire che trovino sostegno presso altri militari. Anche prima che cominciasse la guerra, dichiarazioni di deputati e ministri contro la guerra, l opposizione in parlamento e presso l opinione pubblica, sono state viste con preoccupazione dal ministero della difesa che vorrebbe rimuovere qualunque giudizio e commento che potrebbe influenzare le truppe>.

Il problema ora è stabilire che cosa succederà ai due militari che hanno disobbedito agli ordini.

<Siamo in una società civilizzata - dice con una punta di ironia l avvocato - e quindi sono certo che nessuno pensa all esecuzione dei dissidenti. Al momento si trovano al loro posto e il ministero della difesa non li ha né accusati formalmente di nulla, né arrestati. Ma non è ancora chiaro che cosa ne sarà di loro>.

Nonostante la pesante censura sui media, prima che il conflitto cominciasse, qualcosa del mood, dello stato d animo delle truppe era emerso.

Erano stati in molti i soldati che avevano espresso preoccupazione per il fatto che nel paese non ci fosse tutto questo sostegno per la guerra.

<Sarei sorpreso - dice l avvocato Blades - se i refuseniks fossero soltanto questi due soldati. Penso che ci siano molti militari che hanno le stesse opinioni, gli stessi dubbi, ma che ancora non lo hanno detto pubblicamente. I militari rappresentano una fetta non marginale dell opinione pubblica di questo paese e, ci dicono i sondaggi, la maggioranza della gente non è d accordo con questa guerra>.