Osservazioni del Ministero della Difesa al ricorso Eurofedop |
Cari amici,
con riferimento all’oggetto, si trasmette il parere della CGIL
inoltrato alla CES per il Consiglio d’Europa al fine di garantire una
completa applicazione, in Italia, della Carta Sociale Europea
relativamente alle libertĂ sindacali.
Il parere è stato richiesto alla CES, e da questa a noi, dal Comitato
Europeo dei Diritti Sociali, il quale ha dichiarato ammissibile un
ricorso presentato dalla Federazione Europea dei Lavoratori nei Servizi
Pubblici (EUROFEDOP), finalizzato ad ottenere una condanna dell’Italia
per le difformitĂ riscontrate nelle sue normative in rapporto a quelle
Europee.
Il parere della CGIL tende a denunciare le difformitĂ , le
contraddizioni e le discriminazioni tra:
1. la normativa europea e quell’italiana;
2. la Costituzione italiana e la legge 382/78;
3. le normative e le procedure negoziali per le Forze di polizia ad
ordinamento civile e quelle per le Forze di polizia ad ordinamento
militare;
4. l’autonomia delle rappresentanze militari e i ruoli dei comandi.
Confidando che il parere espresso possa essere utilizzato dalle
strutture e organizzazioni in indirizzo come strumento di lavoro, siamo
certi della dovuta attenzione.
Cordiali saluti
per la CGIL
(Enrico Corti) Allegato: 1
Roma, 18 maggio 2000
A Jean Lapeyre Segretario Generale CESBruxelles Oggetto: parere sugli
ordinamenti italiani e le loro coerenze con le normative europee
relative alle libertĂ sindacali per il personale ad ordinamento
militare.
Caro Lapeyre,
come richiestoci e scusandoci in quanto consapevoli del ritardo con cui
rispondiamo, dovute anche a difficoltĂ di ricerca, trasmettiamo il
parere sulla pertinenza del ricorso riguardante la materia in oggetto.
FONTI LEGISLATIVE E NORMATIVE
Le fonti di riferimento per le osservazioni e la formulazione del
parere sono; 1. Le Convenzioni Internazionali O.I.L. dal 1921 al 1970
2. La Costituzione Italiana approvata il 27 dicembre 1947;
3. La Convenzione del Consiglio d’Europa del 1950;
4. La Dichiarazione Universale per i Diritti dell’Uomo del 1966;
5. la legge 11 luglio 1978 n° 382 “Norme di principio sulla disciplina
militare; 6. il Decreto Presidente della Repubblica 4 novembre 1979 n°
691 “Regolamento di attuazione delle rappresentanze militari” (d’ora in
avanti RARM); i
7. il Decreto Ministeriale 9 ottobre 1985 “Regolamento interno per
l’organizzazione e il funzionamento della rappresentanza militare”
(d’ora in avanti RIRM);
8. la legge 6 marzo 1992 n° 216 “procedure per disciplinare i contenuti
del rapporto d’impiego del personale delle Forze di polizia e delle
Forze armate”;
9. il Decreto Legislativo 195/1995 “attuazione dell’art. 2 della legge
216/92”.; 10. l’Ordinanza del Consiglio di Stato 2 giugno 1998 n° 1142
“sul ricorso per l’incostituzionalità dell’art. 8 della legge 382/78”;
11. la Carta Sociale Europea del 1961 e la Carta Sociale Europea
Emandata (in vigore per l’Italia dal 1 settembre 1999);
12. la Sentenza della Corte Costituzionale Italiana 17 dicembre 1999 n°
449 “sul parere d’incostituzionalità dell’art. 8 della legge 382/78
richiesto dal Consiglio di Stato”.
DESUNZIONI
Dai principi della legge 382/78
Le difficoltà italiane relative all’esercizio del libero diritto di
rappresentanza per il personale militare, sono oggettivamente dovute
all'inserimento posticcio di tali diritti in una legge sostanzialmente
deputata a regolamentare “norme di principio sulla disciplina
militare”, e non già a consentire l’attuazione dei principi
costituzionali sui diritti democratici dei militari quali liberi
cittadini (art. 2 della costituzione).
In tale contesto, la prima parte della legge 382/78 introduce concetti
preliminari che condizionano limitatamente la parte normativa sulla
rappresentanza (art. 18).
Infatti, il comma 2 dell’art. 6 fa divieto ai militari in attività di
servizio, che sono in luogo militare e che sono in uniforme, di
partecipare a riunioni anche di associazioni genericamente definite
politiche.
Se in divisa o semplicemente qualificatisi come militari, agli stessi
viene altresì inibita la partecipazione a riunioni
anche fuori dai loro ambienti, (comma 2 art. 7), ed è questa la norma
piĂą utilizzata per giustificare le rappresaglie.
Significativamente, non è nelle norme sulle rappresentanze ma su quelle
relative alla disciplina militare che si fa divieto ai militari di
costituire associazioni professionali a carattere sindacale, (comma 1
art. 8).
Tale restrizione normativa, che limita la sola possibilitĂ di
costituire associazioni o circoli interni all’istituzione, in ogni caso
subordinati al preventivo assenso del Ministro della difesa (comma 3
art. 8), è attualmente fonte dalla quale i comandi attingono le
motivazioni per reprimere le pur minime attivitĂ delle associazioni,
soprattutto quando queste si pongono come finalità l’innalzamento
culturale di un dibattito propedeutico al riconoscimento dei diritti
costituzionali e sindacali per il personale. Sulle libertĂ sindacali
Con la soppressione delle norme costituzionali corporative fasciste, la
Costituzione italiana sancisce che “l’organizzazione sindacale è
libera” (comma 1 art. 39), demandando al legislatore e alle intese
contrattuali il compito di regolarne le norme ma non di metterne in
discussione il principio.
Tra i diversi Atti internazionali che rafforzano il concetto della
libertĂ sindacali in ragione del diritto ad organizzarsi per esercitare
i necessari poteri negoziali, sono indicativi le Convenzioni O.I.L n°
11/1921 (ratificata il 20 marzo 1924 con R.D.L n° 601), n° 87/1948 e n°
98/1949 (ratificate il 20 marzo 1958 con L. n° 367), n°135/1970
(ratificata il 10 aprile 1981 con L. n° 157), n°141/1975 (ratificata il
3 febbraio 1979 con L. n° 68.
Nella stessa “Dichiarazione Universale” del 1966 per i diritti
dell’uomo, nel “Patto internazionale sui diritti economici, sociali e
culturali”, si afferma che “ogni individuo ha diritto di fondare dei
sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi”, (punto 1
art. 8).
Anche la Convenzione del Consiglio d’Europa del 1950 per “la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, e la
Carta sociale europea del 1961, impegnano gli Stati aderenti a
garantire e promuovere le libertĂ sindacali.
Non subordinando alle leggi nazionali il potere di riconoscere o no il
principio delle libertĂ sindacali, dando loro mandato di definirne solo
l’ampiezza e le modalità , le Convenzioni europee sanciscono con
chiarezza che lo status militare non può essere ostacolo per il pieno
riconoscimento del principio delle libertĂ sindacali.
Indicativo a questo proposito il disposto europeo che rinvia alle leggi
nazionali solo la determinazione delle misure applicative delle sue
disposizioni in materia di libertĂ sindacali, non giĂ quello del
riconoscimento o meno dei suoi principi ispiratori, tesi ad assicurare
e a promuovere la libertĂ dei lavoratori al fine di potersi organizzare
per la protezione dei loro interessi economici, (punto 1, art. 5,
Convenzione n° 98/1949 e .art. 5 della Carta Sociale Europea Emendata).
Tutto ciò premesso ed in conformità , sia dei dispositivi contenuti
negli Atti succitati sia dell’art. 10 della Costituzione italiana,
logica vorrebbe un adeguamento automatico della normativa italiana a
quella europea.
Analizzando invece la legislazione italiana sui diritti di
rappresentanza nell’ordinamento militare, si costata che non c’è
compatibilitĂ tra la normativa europea e quella italiana in quanto
quest’ultima ne viola i principi.
Si può ragionevolmente affermare pertanto che in materia di libertĂ
sindacali per il personale per le Forze armate e per le Forze di
polizia (anche per quelle ad ordinamento civile stante i vincoli
imposti dagli art. 81 e 83 della legge 25 aprile 1981 n° 121), la
legislazione italiana non si è sufficientemente conformata a quella
europea, scostandosi significativamente dalla stessa violando così gli
obblighi derivanti dall’adesione all’O.I.L e alla Comunità Europea.
Sulle volontarietà d’adesione e d’esercizio dell’attività sindacale
E’ vietato alle rappresentanze promuovere e raccogliere sottoscrizioni
ai fini dell’esercizio delle attività di rappresentanza, (punto
e, comma 5, art. 12 RARM).
Le spese relative al funzionamento delle rappresentanze (permanenze,
missioni, trasferte, pubblicistica, servizi vari) sono così a totale
carico dell’istituzione militare, (comma 5, art. 26 RIRM, art. 37 RARM
e DPR 4 novembre 1979 n° 691).
Il militare ha il dovere (non il diritto) di partecipare alle elezioni
della rappresentanza, (comma 1, art. 17 RARM).
Nessun delegato può assentarsi dall’aula di riunione se non autorizzato
dal presidente, (comma 2 art. 15 RIRM). Sulla democrazia e l’autonomia
Definendo la rappresentanza, nel regolamento attuativo, un istituto
dell’ordinamento militare, si è consolidato il presupposto negatore del
diritto di una struttura rappresentativa libera e autonoma, (comma 3
art. 1 RARM).
GiĂ in fase costitutiva ed elettiva delle rappresentanze di base,
COBAR, le dimensioni delle unitĂ di base e le procedure elettorali sono
stabilite dai comandi delle rispettive strutture, (commi 3, 4 e 5, art.
6 RARM).
Cosi dicasi per le rappresentanze intermedie, COIR, e centrali, COCER,
(art. 20 e 21 RARM).
Le elezioni dei delegati ai vari livelli sono poi indette dai
rispettivi comandi (comma 6, art. 15 RARM).
I comandanti stabiliscono altresì i criteri organizzativi delle
elezioni e designano i presidenti dei seggi elettorali, (commi 1 e 4,
art. 16 RARM).
Ai comandanti deve essere consegnato tutto il carteggio e la
documentazione relativa alle operazioni di voto (commi 2 e 4, art. 18
RARM).
L’obbligo di consegnare ai rispettivi comandanti le documentazioni,
delibere, ordini del giorno e mozioni, vige anche in costanza di
attivitĂ delle rappresentanze, (comma 1, art. 25 RIRM).
Pur previsti dal RARM, i rapporti tra i diversi livelli di
rappresentanza (centrali, intermedi e di base) non sono stati
regolamentati nel RIRM. Pertanto tali rapporti ed anche le audizioni di
militari, che devono comunque limitarsi a fornire notizie solo su
quanto viene loro richiesto, non sono possibili se non autorizzati dai
rispettivi comandi, ai quali, nel caso, va obbligatoriamente consegnato
copia della documentazione oggetto della discussione di natura
sindacale, (commi 1, 2 e 3, art. 27 e commi 1 e 2 art. 31 RIRM).
Nel proposito di mantenere l’attività della rappresentanza all’interno
dei criteri disciplinari militari, i delegati sono tenuti a rispettare
i seguenti divieti;
1. formulare proposte che esulano dalle materie strettamente indicate
dall’art. 19 della L. 382/78;
2. aderire a adunanze o svolgere attivitĂ di rappresentanza al di fuori
degli organi di appartenenza;
3. avere rapporti di qualsiasi genere con organismi estranei alle forze
armate, (punti a, b, c, comma 5, art. 12 RARM).
L’inosservanza delle norme regolatrici delle attività di rappresentanza
non sono sanzionate da provvedimenti di natura sindacale bensì
considerate, a tutti gli effetti, grave mancanza disciplinare, (comma
6, art. 12 RARM e modifica in art 1 DPR 28 marzo 1986 n° 136).
Anche nell’espletamento delle loro funzioni di rappresentanza, i membri
degli organi rimangono rigidamente soggetti al regolamento di
disciplina militare. E’ questa la ragione fondamentale per cui i
Presidenti di detti organi non sono eletti ma preposti in ragione
dell’essere i più elevati di grado, in quanto devono garantire il
funzionamento della rappresentanza applicando i criteri della
disciplina militare, delle quale ne sono i responsabili e tenuti ad
informare le gerarchie istituzionali in caso di eventuali infrazioni.
(commi 1 e 5 art. 14 RARM, DPR 4 novembre 1979 n° 691 e comma 1, art. 5
RIRM).
L’esercizio dell’attività di rappresentanza, riunioni, assemblee e
incontri, è sempre subordinata all’intesa/assenso tra il presidente
della struttura rappresentativa e il corrispettivo comandante (comma 3
art. 12 RIRM).
Il diritto di parola nelle assemblee delle rappresentanze, e solo sugli
argomenti all’ordine del giorno, è esercitabile solo se iscritti a
parlare prima di dare inizio alla discussione, considerando
eccezionale, e a discrezione del presidente, la possibilitĂ
d’iscriversi a parlare a lavori iniziati, (comma 1 art.
19 RIRM).
Le assemblee del consiglio centrale di rappresentanza (COCER) sono
valide solo con la presenza dei due terzi dei delegati, (comma 1, art.
14 RIRM).
Non è adottato il voto segreto per l’approvazione di ordini del giorno,
mozioni, delibere e documenti, ma solo per l’elezione del comitato di
presidenza e per la formalizzazione degli incarichi a persone, (comma 2
art. 21 RIRM).
Lo svolgimento dei compiti di rappresentanza è considerato a tutti gli
effetti attivitĂ di servizio (comma 1, art. 13 RIRM).
Ai fini del provvedimento che il Presidente della Repubblica emana in
tema di trattamenti economici e normativi, i COCER Sezioni Carabinieri
e Guardia di Finanza partecipano alle trattative, tra parte pubblica e
parte sindacale per la concertazione, nell’ambito delle delegazioni dei
Ministri della difesa e delle finanze, (punto B comma 1, art. 2 D. Lgs.
195/95).
Oltre che evidente nocumento all’autonomia rappresentativa, la
difformitĂ dalle procedure seguite rispetto a quelle per le Forze di
polizia ad ordinamento civile (punto A, comma 1 art. 2 D. Lgs. 12
maggio 1995 n° 195) istituzionalizza una palese discriminazione tra
operatori dalle similari funzioni investigative, di sicurezza e di
ordine pubblico (polizie civili e polizie militari). Il mancato
riconoscimento ai militari dei diritti di libertĂ rappresentativa e
autonomia. fa assumere alle rappresentanze militari una personalitĂ non
distinta dall’organizzazione istituzionale militare, producendo una
pericolosa commistioni e confusione di ruoli e funzioni tra
rappresentanze e istituzione militare, a discapito anche di
quest’ultima. Sulle responsabilità rappresentative
Il mandato rappresentativo può cessare solo per; a) cessazione del
servizio;
b) passaggio ad altra categoria o grado;
c) trasferimento;
d) perdita dei requisiti di eleggibilitĂ ;
e) aver riportato due consegne di rigore, (comma 2, art. 13 RARM).
Come si vede, non essendo contemplato l’istituto delle sfiducia per
motivi sindacali, il mandato viene considerato a tempo indeterminato
nella vigenza dei tre anni, togliendo pertanto al delegato
responsabilitĂ rappresentativa.
La remissione poi del mandato per passaggio di qualifica, nega di fatto
al delegato la funzione di rappresentante collegiale.
Tale osservazione è rafforzata di fatto dalla norma elettorale che
considera nullo il voto dato a candidati estranei alla categoria di
appartenenza ( art. 17 RARM).
Sui diritti d’informazione
E’ negato ai componenti delle rappresentanze il diritto a rilasciare
comunicati e dichiarazioni, (punto b, comma 5, art. 12 RARM). Alle
rappresentanze militari intermedie e di base è fatto divieto di
divulgare all’esterno dell’organizzazione militare le delibere e le
documentazioni prodotte. L’affissione e la divulgazione di quanto sopra
sono altresì a cura dei comandi (art. 37 RARM).
Sulle procedure e sui poteri negoziali
A fronte di procedure negoziali che prevedono una vigenza quadriennale,
i militari eletti nelle rappresentanze durano in carica tre anni e non
sono immediatamente rieleggibili, (comma 8 art. 18 RARM).
Tale norma è di fatto ostacolo per l’acquisizione della necessaria
esperienza per l’affermarsi di una adeguata formazione negoziale e di
tutela.
I poteri negoziali dei COCER sono limitati alla formulazione di pareri,
proposte e richieste, senza poteri decisionali in tema di intese (comma
4, art. 19 L 382/78 e comma 2, art. 8 RARM).
Per quanto attiene alle materie oggetto di contrattazione, e pur in
presenza di compiti e funzioni similari tra Forze di polizia ad
ordinamento civile e Forze di polizia ad ordinamento militare, in
difformitĂ di quanto previsto per le prime (commi 1 e 2, art. 3 D. Lgs.
195/95) alle rappresentanze delle polizie ad ordinamento militare,
Carabinieri e Guardia di finanza, non vengono riconosciute quali
oggetto di contrattazione i criteri di massima per la formazione e
l’aggiornamento professionale, (comma 1, art. 4 D. Lgs. 195/95).
Inoltre e sempre in difformitĂ delle normative vigenti per le Forze di
polizia ad ordinamento civile, alle forze di polizia ad
ordinamento militare non viene riconosciuto il diritto a relazioni
sindacali atte a determinare, a livello delle singole amministrazioni,
i criteri generali concernenti le seguenti materie: a) l’articolazione
dell’orario di lavoro obbligatorio giornaliero e settimanale e dei
turni di servizio:
b) la mobilitĂ esterna del personale a domanda:
c) la definizione delle piante organiche; d) la gestione del rapporto
d’impiego relativamente agli atti normativi ed amministrativi di
carattere generale concernenti lo stato giuridico, previdenziale ed
assistenziale:
e) la introduzione di nuove tecnologie e le conseguenti misure di
massima riguardanti i processi generali di organizzazione degli uffici,
centrali e periferici, aventi effetti generali sull’organizzazione del
lavoro:
f) le misure di massima concernenti l’organizzazione degli uffici e
l’organizzazione del lavoro:
g) la qualità del servizio ed i rapporti con l’utenza, nonché le altre
misure di massima volte a migliorare l’efficienza dei servizi:
h) l’attuazione di programmi di formazione del personale:
i) le misure in materia di igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro. Si
fa tra l’altro presente che l’inapplicazione del punto i) succitato è
violazione della legge di Stato n° 626/94.
Per il personale poi delle Forze armate (Aeronautica, Esercito e
Marina) sono oggetto di concertazione solamente le seguenti materie:
a) trattamento economico fondamentale ed accessorio: b) la durata
massima dell’orario di lavoro settimanale:
c) le licenze:
d) l’aspettativa per motivi privati e di infermità :
e) i permessi brevi per esigenze personali:
f) il trattamento economico di missione e di trasferimento:
g) i criteri per l’istituzione di organi di verifica della qualità e
salubritĂ dei servizi di mensa e degli spacci, per lo sviluppo delle
attivitĂ di protezione sociale e di benessere del personale, ivi
compresi l’elevazione e l’aggiornamento culturale del medesimo, nonché
per la gestione degli Enti di assistenza del personale (comma 1, art. 4
D. Lgs. 195/95).
Va osservato che, sia per le Forze di polizia ad ordinamento militare
sia per le Forze armate, non ha valore la tutela della salute del
personale ma solo quella della salubritĂ degli ambienti limitatamente a
quelli accessori di servizio.
Tutto ciò premesso, appare evidente che le rappresentanze militari
italiane non possono essere definite strutture di contrattazione
volontaria, non godendo pertanto dell’effettivo esercizio del diritto
alla contrattazione collettiva, (art. 6 della Carta Sociale Europea
Emendata).
A questo proposito è da ritenersi infondata l’affermazione dal Governo
Italiano, prodotta in sede di ricorso c/o il Comitato Europeo dei
diritti sociali, sulla vigenza in Italia di un diritto alla
contrattazione per le rappresentanze militari, e ciò anche attraverso
procedure speciali.
Va peraltro ricordato che in virtĂą delle norme disciplinari militari
che regolano l’attività delle rappresentanze, non è nemmeno
esercitabile da parte delle stesse e delle associazioni volontarie la
tutela sindacale individuale e familiare dei militari.
Sugli iter legislativi di riforma
A dimostrazione della necessitĂ di introdurre forti elementi innovativi
in tema di diritti e libertĂ sindacali, dal 1990 ad oggi nel parlamento
italiano sono stati presentati una decina di disegni di legge per la
riforma della legge 382/78.
Nel 1992 il Comitato Ristretto della Commissione Difesa della Camera
aveva licenziato un interessante testo unificato, sicuramente
innovativo e propedeutico per una fattiva discussione e approvazione
delle legge in sede di assemblea plenaria. I proverbiali ritardi dei
lavori parlamentari si sono protratti sino alla fine di quella
legislatura senza l’approvazione della nuova legge.
Altri disegni di legge vennero presentati nelle due successive
legislature ma non raccolsero mai il consenso né delle rappresentanze
militari, né delle confederazioni sindacali.
Attualmente l’iter legislativo su un testo licenziato dalla Commissione
Difesa della Camera, comunemente giudicato molto insoddisfacente, è
fermo da più di un anno presso la Commissione Difesa del Senato e c’è
ragione di dubitare fortemente sulla possibile approvazione di una
legge di riforma anche in questa legislatura.
Nel dicembre 1999, parlamentari dei Democratici di Sinistra e di
Alleanza Nazionale hanno presentato alla Camera altri disegni di legge
che recepivano i principi, sulle libertĂ sindacali, introdotti da una
recente Ordinanza del Consiglio di Stato il quale, chiamato a giudicare
sull’incostituzionalità dell’art. 8 della legge 382/78 su richiesta del
Maresciallo dei Carabinieri Ernesto Pallotta per conto
dell’Associazione “UnArma”, definiva la richiesta di incostituzionalitĂ
“non manifestamente infondata”, sospendeva il giudizio trasmettendo gli
atti alla Corte Costituzionale per l’ottenimento del parere di questa
Corte, (Ordinanza C.d.S. 8 giugno 1998 n° 1142).
In tale Ordinanza, il Consiglio di Stato afferma tra l’altro:
a) “appare dubbio che l’esclusione delle libertà sindacali per i
militari trovi un ragionevole fondamento”, (pag. 7 punto 5.1):
b) “non giova argomentare l’esistenza degli organi di rappresentanza
per negare le necessità del riconoscimento delle libertà sindacali”,
(pag. 8, comma 3, punto 5.3):
c) “in materia di contenzioso tra gli organi di rappresentanza e le
amministrazioni, non risulta coperto l’arco delle possibili istanze
collettive”, pag. 8, comma 4, punto 5.3):
d) “con l’attuale sistema delle rappresentanze militari vengono
sacrificati i principi dell’organizzazione sindacale e del pluralismo
sindacale”, (pag. 8, comma 5, punto 5.3):
e) “il pluralismo sindacale è di particolare rilievo quando si tratta
di eleggere i componenti degli organi”, (pag. 8, comma 6, punto 5.3):
f) “il sistema delle libertà sindacali può dar luogo al più incisivo
strumento dell’accordo sindacale”, (pag. 8, comma 7, punto 5.3):
g) “l’esigenza di non indebolire la disciplina militare non può
fondarsi sull’esclusione delle libertà sindacali, (pag. 9, comma 1.
Punti 5.4
La suprema Corte, nel dichiarare non incostituzionale l’art. 8 della
legge 382/78 non emetteva giudizi di merito sulle libertĂ sindacali,
cogliendo semmai l’occasione per sollecitare Governo e Parlamento ad
intervenire per realizzare “una più compiuta definizione degli spazi di
intervento e di autonomia” per le rappresentanze militari, (pag. 9,
comma 3, punto 3, sentenza 20 dicembre 1999 n° 449).
DEDUZIONI FINALI
Oltre i pareri già implicitamente espressi, è giusto osservare che è la
pervicacia illiberale della legislazione italiana che può minare
l’ordinamento militare, in quanto obbliga in modo coercitivo
l’abbinamento libertà sindacale uguale a smilitarizzazione, come tra
l’altro sostenuto dall’Avvocatura di Stato in sede di dibattimento
presso la Corte Costituzionale, (pag. 5, punto 4, sentenza 20 dicembre
1999 n° 449).
Fraterni saluti,
Il Segretario Confederale CGIL
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