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Notizie dalla missione militare italiana in Libano. PDF Stampa E-mail
IL GENERALE FIORAVANTI ALL’AISE:
BISOGNA FAR CONOSCERE LA CULTURA ITALIANA AI GIOVANI DEL LIBANO PER UNA PROIEZIONE FUTURA


Sono poco più di 2300 i militari italiani attualmente schierati nel sud del Libano in seguito alla risoluzione 1701 emanata l’11 agosto 2006 dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. L’operazione appellata "Leonte" si inserisce nel più ampio quadro della missione Onu denominata Unifil (United Nations Interim Force in Lebanon. I nostri soldati, che fanno parte dei 15mila uomini, tra militari e civili, provenienti da venti Stati, contribuiscono al conseguimento degli obiettivi e finalità stabiliti dalle Nazioni Unite per prevenire la ripresa delle ostilità e ristabilire una situazione di pace e sicurezza nel Libano meridionale, agiscono quindi come "forze cuscinetto" tra le forze armate libanesi e quelle israeliane su richiesta del Governo libanese.
A illustrare all’Aise la delicata missione italiana è il generale di brigata Maurizio Fioravanti, dallo scorso 22 aprile al Comando del settore Ovest di Unifil e del contingente nazionale (National Contingent Commander -NCC) che costituisce la Joint Task Force italiana in Libano (JTF-L) su base della Brigata paracadutisti "Folgore". Alle sue dipendenze operano 2 Battle Group di manovra, un gruppo di supporto di aderenza che garantisce il sostegno logistico al contingente, e unità specialistiche (genio, trasmissioni, Cimic, Nbc, Eod), assetti dell'aviazione dell'esercito, forze speciali ed una componente di polizia militare dell'arma dei carabinieri. Il comando del contingente è stanziato nella base Tibnin (sede anche del comando del settore ovest di Unifil), mentre le unità di manovra e i supporti sono suddivisi tra le basi di Maarakè, Zibqin, Bayyadah, Hariss e Shaama. Nell’ambito del contingente italiano operano unità di Francia, Ghana, Qatar, Slovenia e da pochi giorni un piccolo nucleo di coreani.
L’attività Cimic (cooperazione civile e militare) è l’argomento che sta più a cuore al generale Fioravanti, infatti quando ci riceve nella base di Tibnin, nel sud del Libano, esordisce raccontando dei buoni rapporti con la popolazione libanese, delle iniziative attivate dai militari e che hanno come protagonisti bambini e giovani libanesi, della distribuzione di giocattoli e materiale scolastico.
"La novità su cui abbiamo spinto - racconta Fioravanti - è fare conoscere la cultura italiana ai giovani libanesi per una proiezione futura. Il Libano è un paese mediterraneo molto vicino all’Italia. Qui ci sono tanti resti della nostra storia, a Byblos, Baalbek, a Tiro cittadina piena di reperti romani. Questa nostra rivoluzione si è attivata con i corsi "conoscere l’italiano", con il progetto "Women and Culture", con l’iniziativa di insegnare ad impastare e fare la pizza ai bambini disabili. Poi c’è l’iniziativa "impariamo a conoscerci", facciamo lezioni nei villaggi spiegando chi è Unifil, quali compiti ha e chi è il contingente italiano. Insegniamo ai giovani a giocare a calcio, a basket, vi sono in corso progetti sull’acqua, sui generatori, sugli ambulatori. Attività che abbiamo sempre fatto, ma grazie all’esperienza acquisita in passato abbiamo fatto un’attenta analisi per fare di più e meglio. La missione Onu 1701 prevede il supporto alla popolazione, questo è un supporto qualitativo che aiuta a crescere e a seminare il processo di stabilizzazione, che prolungandosi nel tempo porta ad una pace duratura e ad un futuro di ottimismo che ci auguriamo".
D. Qual è il bilancio di questi mesi di attività?
R. È positivo, ogni giorno che passa è un giorno di stabilità in più. Abbiamo fatto tutto nel rispetto del mandato della missione prevista dalle Nazioni Unite nel prevenire armamenti, elementi armati e situazioni di contatto tra l’esercito libanese e quello israeliano nel presidio della blu line (la linea di confine), nel controllare i punti di ingresso del limite nord nei pressi del fiume Litani, affinché non transitino armamenti o altre armi. Abbiamo scoperto molti bunker e fortificazioni usate durante la guerra e rispettando la sovranità nazionale abbiamo consegnato tutto il materiale ritrovato all’esercito libanese.
D. Com’è il rapporto con le forze armate libanesi?
R. È ottimo ed è cresciuto. L’esercito per la prima volta dopo tanti anni è entrato nel Sud del Libano il 14 agosto dell’anno scorso, dopo incertezze e timori iniziali ha dimostrato sul campo di essere forte. In questo momento è l’unica istituzione più compatta e funzionante di tutto il Libano, lo sta dimostrando al Nord, nel campo di Nahr al-Bared, proprio il bagno di sangue avvenuto in questo campo li ha fortificati.
D. Come riesce ad avere il controllo di tutte le basi italiane dislocate sul territorio?
R. Non ce né bisogno, ho degli ottimi professionisti, inoltre la nostra area di responsabilità è piccola e quindi in mezz’ora riesco ad essere in qualunque base velocemente. Certamente sono in collegamento costante con i comandanti a capo delle altre basi e anche con i comandanti stranieri.
D. C’è un obiettivo che ancora non è stato raggiunto?
R. Sì, avere più soldi per poter fare di più. Quando si è in una missione di supporto e di stabilizzazione significa che lì c’è stato un evento bellico, una crisi che comporta distruzione, quindi c’è bisogno di fare tante cose e vorresti avere sempre più disponibilità finanziaria. Se realizzi un piccolo progetto, come l’installazione di un generatore di corrente, ti accorgi che ci sono tante altre esigenze in altri villaggi.
D. Qual è l’immagine bella che ricorderà di questa missione?
R. Il sorriso della gente e la loro voglia di vivere. Un’immagine che conoscevo essendo stato qui nei primi anni ‘80. (Al comando della compagnia fucilieri del 2° Battaglione paracadutisti "Tarquinia" ha partecipato alle operazioni della Forza Multinazionale a Beirut dall’82 all’84. ndr).
D. E quella negativa?
R. Che ci sono ancora tanti posti molto poveri e disadattati. Basta girare e vedere i risultati orrendi della guerra.
D. Quale messaggio si sente di rivolgere ai suoi uomini?
R. Preciso uomini e donne, che in questa missione sono circa 60. Dico loro di continuare ad essere quello che sono. Ci lamentiamo sempre che in Italia le cose non funzionano, ma in realtà il nostro è un grande Paese con un’importante risorsa: l’italiano che riesce ad organizzarsi per far funzionare tutto nel bene e nelle grandi difficoltà.
D. Cosa vorrebbe dire alla popolazione libanese?
R. Negli incontri uso chiudere i miei discorsi dicendo che in Europa abbiamo avuto due guerre e tante nazioni devastate eppure oggi siamo liberi di circolare, studiare e lavorare nella massima pace, libertà e democrazia con sintomi di fratellanza. Auguro loro di andare a studiare a Damasco, Haifa o Gerusalemme senza più problemi. Poi evidenzio che la nostra presenza, come forza internazionale, serve e dobbiamo continuare a rimanere. Infine sostengo che il Libano ha avuto un passato terribile, un presente difficile, ma sicuramente ci sarà un futuro migliore.
D. Quanto alla sicurezza del nostro contingente, cosa vuol dire che siamo in "codice giallo"?
R. In ogni missione ci sono degli stati di allerta, che va da normale vita ordinaria che viene chiamata "codice verde", fino all’allarme che è rosso. Sono vari codici di protezione e in questo momento è giallo, siamo leggermente allertati e sono state applicate delle restrizioni di movimento. Una decisione presa soprattutto dopo l’attentato agli amici spagnoli il 24 giugno scorso, l’esplosione di un’autobomba ha causato la morte di sei militari e due feriti. Comunque posso dire che la situazione è tranquilla e sono ottimista. Certamente c’è sempre la minaccia di qualche gruppo esterno che cerca di destabilizzare la situazione, ma credo che più stiamo a contatto con la popolazione, più quest’ultima percepisce il tentativo di destabilizzazione come un attacco contro di loro.
D. C’è qualcosa che vuole aggiungere?
R. Dico ai giornalisti di venire più possibile in Libano, così da informare su quello che gli italiani con la divisa fanno in giro per il mondo. È giusto far conoscere come vengono spesi i nostri soldi. Bisogna raccontare l’attività che facciamo ogni giorno per la pace nel mondo e far vedere cosa gli italiani riescono a fare sotto l’insegna del tricolore, che ci inorgoglisce e ci fa essere fieri di essere italiani.

di 
Clara Salpietro da www.agenziaaise.it

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