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Ancora sulla vicenda dei quattro elicotteristi PDF Stampa E-mail

Degli alibi e delle essenze…

Quattro piloti d’elicotteri Chinook Ch47 ad un tratto della loro carriera devono fare i conti con se stessi e con gli altri. Di fronte ad una particolare situazione devono decidere da che parte stare. Ciò che fa scattare la crisi d’identità, è il coraggio. Questi militari, oggetto di cronaca in questi giorni, hanno lamentato sia un addestramento non adeguato sia l’efficienza dei propri velivoli. Le due anomalie assommate facevano prendere la decisione di venire meno alla loro missione di volo in Iraq. Come il solito, in merito a questo fatto ci siamo divisi tra chi li ha additati codardi e chi porta ad esempio per aver fatto emergere fatti ai più sconosciuti.

Il coraggio, secondo Aristotele, era quell’attitudine umana che si trovava a metà strada tra la temerarietà e la paura, una sorta di via di mezzo tra l’imprudenza e la trepidazione.

Ammettiamo per un attimo che si tratta di codardia e che le ragioni portate avanti da loro altro non sono che alibi. A questo punto se questi sono i nostri soldati, c’è  poco da stare allegri e ci conviene sperare di non avere bisogno di loro. Se questa fosse la realtà, si potrebbe dire che ai quattro colleghi manca una “essenza combattiva”, proprio in coloro che più d’ogni altro sarebbe dovuta esistere, figuriamoci negli altri! Se viceversa, ribaltiamo il ragionamento è pensiamo che non si tratta di scuse ma d’effettive carenze strutturali, ancora peggio, perché è lo Stato a prendere gli alibi. Nel mandare i militari allo sbaraglio imputa loro poco coraggio e nel discolparsi fa bene il suo lavoro, basta leggersi la rassegna stampa per rendersi conto come gli alibi attecchiscono bene: “..è uno schiaffo ai 113 colleghi che hanno effettuato a Nassyria oltre 400 ore di volo diurno e notturno…”.

Su queste posizioni tutti si dividono, da una parte chi li deve difendere a tutti i costi, dall’altra, chi gli dicono le peggio cose. Il solito gioco della torre, chi si butta giù?

Sembra scritto nel nostro destino, non riusciamo a liberarci dall’icona che ci vede agli occhi del mondo, scanzonati e pochi responsabili. Il soldato italiano che i film con Totò, Sordi, Gasmann, Tognazzi, Abatantuomo ci hanno fatto ridere, erano macchiette tutte italiane una specie di auto ironia, con il recente film americano “Il mandolino del Capitano Corelli” (Nicolas Cage e Penelope Cruz) l’idea di soldato italiano si scolpisce nella pietra. D’altra parte anche le barzellette ci restituiscono l’italiano in mezzo al francese, inglese e tedesco più smart e flessibile, ne sa sempre una più del diavolo. Certo che non può essere diversamente, quando pensiamo, ad esempio, all’uranio impoverito, da una parte gli Stati Maggiori italiani lamentano “..non ne sapevamo niente..”, dall’altra la Nato gli americani ribattono “.. vi abbiamo dato tutto, mappe e luoghi bombardati!..”. Chi ha ragione? Questo palleggio non deve stupire, il calcio è il gioco nazionale e il nostro campionato è il più bello del mondo.  Nel frattempo muoiono le persone e non si sa chi ringraziare.

Ora, nell’analizzare questi fatti ho cercato di trovare un comune denominatore, una “essenza” che mi spieghi perché e come mai siamo vittime di questa icona. Come mai ci portiamo questo logo, questa ITALIANITA’?

Se per un momento ci si allontana dalle posizioni di parte, dalle strumentalizzazioni di buoni e cattivi, e con spirito critico affermiamo che hanno ragione e torto tutti, forse si riesce a comprendere questa “essenza”. 

Il PARADOSSO, è che i nostri piloti si lamentano in guerra di una non ottimale difesa elettronica radar del velivolo, dimenticandosi che il loro nemico a volte scalzo è pronto ad auto-esplodersi anche solo per ferire una persona. E’ come se un kamikaze iracheno si lamentasse che il suo collega palestinese a più tritolo addosso di lui!? La domanda sorge spontanea, ma perché non hanno fatto una lettera agli Stati Maggiori, ai politici, giornali, manifestando le carenze ma continuando a fare i soldati di guerra? Perché ognuno dei quattro piloti, in cuor suo, sa e conosce questa “essenza”, l’esperienza, lo porta a pensare che avrebbe continuato a rischiare la vita e la sua istanza restava una lettera morta. Avrebbero avuto onore e gloria se morivano, disonore e infamia se vivevano. Se avessero fatto un’istanza per via gerarchica, lamentando le condizioni di equipaggiamento, ma continuando a fare il proprio dovere, sarebbero apparsi polemici, pessimi militari e se andava bene, dopo molti mesi, avrebbero avuto una risposta ovviamente negativa.

A riprova di questa mia supposizione e che non ho memoria e chi ne ha è fortunato, che avverso un ricorso gerarchico, un’istanza di revisione o semplicemente di rapporto che per l’esponente sia finita bene. Sinceramente nella ma carriera fatti simili non mi sovvengono. Anzi, a volte non c’è neanche il bisogno di scrivere, basta un rapporto verbale in cui si manifestano divergenze e carenze con i superiori, per rovinarsi un’intera carriera. E’ possibile immaginare che tutti coloro che vogliono un riesame della loro punizione, note caratteristiche, istanze di conferimento, siano tutti pazzi? E’ possibile che non ci sia nessuno, sopra dell’esponente, che può aver sbagliato qualcosa? Sembra proprio di no, quando si chiede aiuto all’interno della gerarchia, se va bene rispondono no altrimenti ci puniscono perché nelle modalità/formalità/sostanzialità c’era qualcosa che non andava. Tanto sembra assurda questa posizione che la riprova è data dalla giurisdizione civile, nel momento in cui la gerarchia non ci dà ragione e ci rivolgiamo al giudice amministrativo sono più le volte che abbiamo ragione che quelle che con torto. Ma, per quella parte di personale a cui il giudice ha dato ragione, contrariamente alla linea gerarchica, chi li ripaga della carriera e dei soldi persi? Ebbene, NESSUNO!! A quel generale, colonnello che avrebbe potuto, con un po’ di responsabilità in più, evitare l’intervento del giudice risolvendo in prima persona la questione, qual è il conto da addebitare? NESSUNO! L’autore della lettera potenzialmente era un pazzo/un timoroso/un cattivo soldato poco importa se qualcuno gli avesse dato ragione, buon per lui, ma, “..chi avuto, avuto, avuto, chi ha dato, ha dato, ha dato, scurdammoce ‘o passato simme ‘e Napule paisà!..”

E’ questa l’ESSENZA, L’ITALIANITA’- tutti colpevoli, nessun colpevole! Così è colpevole il pilota perché non è andato in volo, è colpevole lo Stato Maggiore perché non ha predisposto le modifiche necessarie, è colpevole il politico che ti manda in guerra e non ti dà i soldi e gli approvvigionamenti necessari ed è colpa nostra perché votiamo i politici. Ecco qua, il cerchio si è chiuso ed in mezzo a questo cerchio giochiamo al gioco della scopa, quando finisce la musica, paga il pegno chi rimane con la scopa. A questo giro è rimasta in mano agli elicotteristi, ma è solo una questione di sfortuna. Poteva succedere che i piloti andavano in volo, morivano, si apriva un’inchiesta parlamentare e si dava la colpa agli stati maggiori, oppure il politico aumenta le spese militari, togliendole a qualche altro comparto e perde le elezioni. E’ solo una questione di fortuna e la ricetta salvifica è semplice “basta tirare a campare” senza l’assunzione di responsabilità. 

Siccome i politici li abbiamo votati noi, ci sentiamo corresponsabili e dobbiamo prendere le difese o le colpe dei piloti, degli stati maggiori e del governo. Urlando le nostre ragioni entriamo automaticamente nel giochino e perdiamo il SENSO CRITICO della ricerca della RESPONSABILITA’ SOGGETTIVA. Ora si comprende meglio questa “essenza” tutta nostra, questa icona mondiale che ci distingue dagli altri, come ha detto il papa recentemente “volemose bene” basta per andare avanti.

 A parte il nostro modo di essere in questa storia manca il CORAGGIO, al pilota di andare in volo, allo stato maggiore di garantire i propri soldati e al politico di dire al cittadino quanto costa una difesa seria. A noi povera gente manca il coraggio di restare fuori da prese di posizione partigiane senza un minimo d’autocritica.

Kronos il lupo della Sila

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