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Le mezze luci dell'Europa PDF Stampa E-mail

Sospesa fra l'approvazione della convenzione di Bruxelles e la ratifica della conferenza intergovernativa a presidenza italiana (che potrebbe peggiorarla), la bozza di Costituzione europea passa dalle istituzioni al vaglio dell'opinione pubblica, in materia alquanto assopita, almeno in Italia, salvo l'attenzione che al processo costituente europeo dedicano fin dall'inizio alcune comunità intellettuali e politiche.

Fra queste, la fondazione Basso di Roma, presieduta dalla deputata europea Elena Paciotti, che della convenzione per la Costituzione - e, prima, di quella per la Carta europea dei diritti - è stata protagonista attiva.

E' lei a sottoporre al gruppo di giuristi e filosofi che per la fondazione ha seguito tutte le tappe della nascita dell'Unione il temario dell'ultima stazione: la valutazione del «passo storico» rappresentato dalla bozza, le lacune che essa presenta rispetto all'obiettivo di un'Europa all'altezza delle sfide della globalizzazione, il contrasto fra logica della rappresentanza parlamentare e logica intergovernativa che s'è visto nella convenzione, la latenza di una classe politica europeista adeguata al compito.

Una classica situazione di «mezza luce», dirà alla fine il direttore della fondazione Giacomo Marramao, come si addice a un'epoca di passaggio come la nostra e a un percorso aperto come quello europeo.

E' sotto questa mezza luce che bisogna mettere a fuoco le due domande principali, «quale Costituzione» e «quale Europa» stanno venendo al mondo.

Due domande correlate ma distinte, perché distinti e correlati sono il piano giuridico e il piano storico-politico della questione, e anzi uno dei suoi punti d'interesse sta proprio nell'analizzare come si intersecano.

Giuridicamente parlando, si può discutere in primo luogo se la proposta licenziata dalla convenzione Giscard sia già una vera e propria Costituzione, o ancora solo un trattato.

Più un trattato che una Costituzione, sostiene Maurizio Fioravanti, perché non contiene dei veri e propri principi costituzionali, e perché per l'adesione dei singoli paesi non si è voluta adottare una procedura referendaria comune: bisognava che i popoli europei votassero lo stesso giorno con le stesse regole, invece ciascuno farà secondo le procedure nazionali, quasi che il popolo europeo esistesse ancora solo per sommatoria.

Tuttavia, dice lo stesso Fioravanti, la tendenza di fondo porta verso un'Unione più coesa, ed è quella che prevarrà.

Altri giudizi sono infatti ancora più positivi.

Andrea Manzella vede nel trattato una Costituzione che resta aperta al processo costituente, coerentemente con la natura di un diritto costituzionale europeo che opera «per osmosi, intuizione, contagio», tant'è vero che alcuni principi comunitari, come quello di proporzionalità e di sussidiarietà, già sono trasmigrati negli ordinamenti nazionali; dunque non siamo al traguardo, ma «si può proseguire».

Luigi Bonanate è soddisfatto di come, in materia di politica estera, il trattato già sancisca la netta prevalenza dell'interesse comunitario sugli interessi nazionali: «il nazionalismo non potrà albergare nell'Unione».

Alessandro Pizzorusso, pur definendo la bozza «una Costituzione ottriata, per il modo in cui è stata scritta e per la procedura di revisione che contempla» (quest'ultima ancora sottoposta, purtroppo, alla regola dell'unanimità), ne mette in risalto gli aspetti dinamici, primo tra i quali l'accelerazione del controllo di costituzionalità, e così pure Valerio Onida, convinto che la Costituzione comincerà a funzionare come tale non appena innescherà dei conflitti fra giurisdizioni e giurisprudente nazionali e comunitarie.

La parte trainante del trattato, da questo punto di vista, resta la Carta dei diritti che vi è stata incorporata: impugnabile anche su scala nazionale, sostiene Papi Bronzini, adatta a interpretare nuove esigenze e a tutelare nuove soggettività, e a innescare campagne di emancipazione e di liberazione, purché la rappresentanza politica e sociale, i sindacati in primo luogo, se ne convincano e abbandonino trincee più arretrate.

Alla fine, i cittadini europei saranno quelli che nel mondo godono di maggiori diritti, riassume Federico Petrangeli pur ricordando gli sgambetti che alla Carta dei diritti sono stati fatti in convenzione fino all'ultimo.

E comunque, con la Carta non entra in Costituzione solo un catalogo di diritti, sottolineano Rodotà e Marramao, ma un principio di legittimità basato sui diritti della persona che bilancia la legittimazione puramente elettorale dosata sulla sovranità popolare tanto cara al nostro attuale governo.

E le ombre?

Compaiono quando si parla di politica economica, rimasta secondo Giorgio Ruffolo del tutto «periferica» nel processo costituente malgrado «il miracolo» fatto con l'euro.

E compaiono soprattutto quando si parla di forma di governo.

Lì il compromesso che ha dato luogo alla troika di poteri - presidente del consiglio, presidente della commissione, ministro degli esteri che a sua volta è contemporaneamente emanazione del consiglio, vicepresidente della commissione e presidente del consiglio per gli affari esteri - somiglia più a un pasticcio che a una struttura istituzionale.

Lepoldo Elia teme che non potrà funzionare.

E Massimo Luciani, che sull'insieme del trattato esprime più di una riserva -a partire dal carattere «raggelante» del preambolo - rileva che nella forma di governo mancano le figure rappresentative dell'unità dell'Unione, mentre le funzioni di rappresentanza politica sono frammentate e l'organizzazione delle prestazioni di governo prelude a sicuri conflitti fra i due presidenti della commissione e del consiglio.

Conclusione: «molti elementi di opacità e di incertezza».

Le opacità giuridiche riflettono del resto incertezze storiche e politiche. Giorgio Napolitano, presidente della commissione affari costituzionali che sta elaborando il parere del parlamento di Strasburgo sul progetto di Costituzione, mette a fuoco uno dei problemi principali, quello che riguarda la forma politica di una Unione che nasce in tempi di crisi dello stato-nazione, in questi termini: «Non credo al post-statuale né al post-nazionale, bensì al sovranazionale.

E non vedo sostituzione ma integrazione fra il livello nazionale e quello comunitario, anche se è chiaro che l'asse della politica si inclina, come dice Habermas, verso Bruxelles».

E' un buon modo di razionalizzare «con realistica gradualità» il problema, ma ci si può spingere oltre.

Marramao parla più nettamente di una Costituzione «senza Stato e dopo lo Stato»: fermo restando che il «dopo» non annulla, ma rideclina e derubrica la costellazione politica statuale, e soprattutto smonta la costruzione identitaria e la logica di potenza che hanno accompagnato la parabola dello Stato moderno.

Un'Europa che sa di essere fatta di differenze non può riproporre infatti né la prima né la seconda.

Quanto alla prima, Rodotà non è convinto né che sia compito delle costituzioni produrre identità, né che la costruzione di identità forti sia più in generale auspicabile in un mondo in cui l'identità non è un dato o un certificato ma un problema e un prodotto.

Quanto alla seconda, è Bonanate a rifiutare senza mezzi termini l'idea che l'Europa debba nascere come potenza contrapposta agli Usa ma interna alla stessa logica di difesa e offesa.

Il rapporto con l'altra sponda dell'oceano si gioca, nel pianeta globale, su altri piani: in primo luogo, sostiene Marramao, sulla capacità dell'Europa di proporre, dentro l'Occidente, un modello altro sia da quello individualistico americano sia da quello comunitarista asiatico.

Ripartendo dal meglio del suo passato.

E puntando a diventare, ereditando il meglio anche da lì, il futuro dell'America.

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